Sauditi sul piede di guerra contro Assad
Il match più duro per Sergei Lavrov è previsto sabato al Cairo, quando il ministro degli esteri russo proverà a spiegare sul ring della Lega araba perché Mosca si oppone a un intervento militare contro Damasco e spinge per una soluzione politica che eviti la guerra civile in Siria. Lavrov tuttavia non potrà sperare neppure in una vittoria ai punti. I “giudici” della Lega araba a trazione saudita hanno già deciso la sconfitta dell’iniziativa russa e ora guardano con sospetto alla missione dell’inviato speciale per l’Onu, Kofi Annan, ex segretario delle Nazioni Unite, che proprio sabato si presenterà a colloquio con le autorità siriane.
Tra ambiguità e forti interessi di parte, la diplomazia internazionale prova a delineare una soluzione politica. Il partito della guerra però non si rassegna. La riunione qualche giorno fa dei ministri degli esteri del Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg, che include le sei monarchie arabe del Golfo), di fatto è stata un «consiglio di guerra». «Il regime (del presidente Bashar Assad) insiste per imporsi con la forza sul popolo siriano», ha tuonato il ministro degli esteri saudita Saud Al Faisal, che ha evitato di far riferimento esplicito ai rifornimenti di armi ai disertori dell’Esercito libero siriano (Els).
Proprio l’Arabia saudita e il Qatar spingono per armare i ribelli anti-Assad. «Il popolo siriano vuole difendersi, c’è cosa di più grande del diritto alla autodifesa?», ha chiesto Saud al Faisal, prima di sganciare un siluro contro i «nemici» iraniani. «Ci sono siriani che non rappresentano la maggioranza della popolazione e che lavorano con l’Iran», ha detto perentorio il ministro saudita.
E’ evidente l’interesse che i regnanti del Golfo hanno per la caduta del regime di Bashar Assad. In gioco non ci sono certo i diritti dei siriani ma l’isolamento di Tehran che, senza l’alleata Damasco, perderebbe un pezzo decisivo di quella «Mezzaluna sciita» – Iran, Iraq, Siria e Libano del sud (Hezbollah) – che da anni non fa dormire i monarchi sunniti alleati degli Usa. Secondo David Hartwell, analista dell’IHS Janes defense and intelligence group, l’Arabia saudita e il Qatar, di fronte alle «esitazioni» americane ed europee, romperanno gli indugi e daranno armi i disertori dell’Els (già lo fanno in segreto dicono alcune fonti). «Difficilmente Riyadh e Doha continueranno a condividere i timori degli occidentali di un peggioramento del quadro siriano (dopo l’invio di armi, ndr) e sceglieranno di sostenere in ogni modo l’Els», spiega Hartwell.
Questo passo di Arabia Saudita e Qatar rappresenta un ulteriore segnale della crescita dell’influenza e del potere dei paesi del Golfo sull’intera scena mediorientale e nordafricana, dove già recitano un ruolo importante nel contenere e indirizzare a loro vantaggio le proteste delle popolazioni arabe divampate in quest’ultimo anno. Il piccolo ma ricco Qatar, impegnato in una perenne competizione con l’Arabia saudita, è divenuto uno dei principali sponsor dei Fratelli musulmani e ha convinto Hamas a sganciarsi da Damasco.
Riyadh intanto allarga la sua influenza su Manama che – dopo l’intervento, un anno fa, delle truppe saudite contro le proteste popolari in Bahrain – diventa poco alla volta un protettorato dell’Arabia saudita. Il khutba (sermone) della scorsa settimana alla moschea grande di Manama è stato un lungo elogio del ruolo dal re saudita Abdallah nel riportare «la stabilità in Bahrain e nel Golfo».
Ritratti del monarca saudita dominano l’aeroporto di Manama e ovunque si scorgono le bandiere dei due paesi su aste incrociate. «L’Unione del Golfo è più vicina, il primo passo è qui in Bahrain», ha detto ai fedeli lo sceicco Farid al-Meftah, riferendosi al progetto che dovrebbe portare al superamento del Ccg.
La futura «unione» sarà definita a maggio, in un vertice delle sei monarchie, e prevedrà l’allargamento in tempi brevi a Marocco e Giordania. Più che da una moneta unica, i paesi membri saranno uniti da accordi sulla sicurezza e la cooperazione militare, sotto l’ombrello statunitense. In ogni caso in Bahrain è partito un disegno strategico volto a confermare Riyadh come leader sunnita nella regione, impegnata a bloccare l’espandersi dell’influenza iraniana.
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