Rendimenti giù di altri cento punti con riforma lavoro e fondo salva-Stati

by Editore | 9 Marzo 2012 8:14

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Lo spread il famigerato differenziale di rendimento fra titoli pubblici italiani e tedeschi – a quota 300. Per qualche tempo, ieri, anche più sotto, fino a 293. Dopo aver vissuto pericolosamente, nelle lunghe settimane fra l’autunno e l’inverno, sui 500 punti di differenziale, l’Italia, finalmente respira. È l’inizio di un percorso virtuoso? In realtà , la virtù perduta non è così lontana: meno di un anno fa, il 12 aprile 2011, lo spread fra l’interesse sui Btp e quello sui Bund era a 122 punti. Un livello che, a prima vista, dopo la lunga notte della crisi, sembra impossibile. Il problema è che lo spread è un po’ un’illusione ottica: dipende sia dal comportamento dei Btp italiani che dei Bund tedeschi. E i titoli di Berlino, quel 12 aprile, pagavano un interesse del 3,49 per cento: è stato l’assalto successivo ai paesi mediterranei e la fuga degli investitori verso il rifugio dei Bund che ne hanno fatto schizzare verso l’alto i prezzi e crollare i rendimenti, fino all’attuale 1,70-1,80 per cento. Per avere una fotografia più esatta della situazione, conviene guardare, più che allo spread, al rendimento dei Btp. Sempre a metà  aprile scorso, i titoli decennali italiani pagavano un interesse del 4,71 per cento. Ieri, eravamo molto vicini: 4,82 per cento.
In altre parole, il debito pubblico italiano sembra aver finalmente riguadagnato una quota di galleggiamento. Possono scendere ancora spread e rendimenti? Molto dipenderà  da cosa accade ai titoli tedeschi, ma molto di più dal comportamento futuro dei Btp italiani e dalla politica che li rappresenta. «Se continuiamo così, con il processo di riforme – ha detto qualche settimana fa il presidente del Consiglio, Mario Monti – lo spread può scendere anche a zero». Al momento, sembra una prospettiva ancora improbabile. Più verosimilmente, il direttore generale della Banca d’Italia, ha indicato un obiettivo inferiore ai 200 punti. Per centrarlo, occorre che una serie di scadenze, italiane ed europee, delle prossime settimane si risolvano nel senso voluto dal governo.
La più significativa è la riforma del mercato del lavoro, che dovrebbe chiudersi entro marzo. Monti l’ha indicata come quel “segnale di discontinuità ” con la politica precedente che i mercati si aspettano. Una buona riforma (tocchi di più o di meno l’articolo 18) varrebbe, sempre secondo Monti, 200 punti di spread. Quando il presidente del Consiglio ha pronunciato queste parole, a gennaio, lo spread con i Bund era a quota 500: oggi, probabilmente, l’impatto sarebbe assai minore, ma potrebbe avvicinare il Btp all’obiettivo indicato da Saccomanni. Ma non è l’unico appuntamento. Fra marzo e aprile, il Tesoro affronta due maxiaste dei titoli pubblici. Se verranno superate positivamente, come è già  avvenuto per l’asta di febbraio, l’Italia avrà  scavallato il momento più difficile del 2012 per il nostro debito pubblico: a quel punto, infatti, avremo rifinanziato quasi la metà  di tutti i soldi che chiediamo, quest’anno, ai mercati.
Ma ci sono altre due scadenze, questa volta europee. Oltre, infatti, all’accordo che tampona la crisi del debito greco – e che, ieri sera, sembrava in dirittura d’arrivo – entro marzo, l’Europa potrebbe decidere di rinsaldare i suoi strumenti salva-Stati, unificando i due fondi previsti e dotandoli di una potenza di fuoco di 750 miliardi di euro che, uniti ai soldi che può mettere a disposizione il Fmi, dovrebbero, secondo Bruxelles, essere sufficienti a scoraggiare nuovi assalti speculativi dei mercati. Soprattutto se anche l’ultima scadenza sarà  rispettata e, entro giugno, entrerà  in vigore quel patto fiscale che dovrebbe assicurare, agli occhi dei mercati, il rispetto della disciplina di bilancio da parte dei paesi dell’euro. 
Basta, tuttavia, rispettare queste scadenze? Secondo gli scettici, no. La prima buccia di banana su cui potrebbe scivolare l’area euro sono i credit default swap sulla Grecia, cioè le assicurazioni sui crediti contro un default. Gli organismi internazionali si stanno adoperando per evitare che il loro pagamento scatti, con l’accordo in discussione. Ma se non scattano per la Grecia, non scatterebbero neanche per Portogallo o Italia. Privati della possibilità  di garantire i propri crediti, gli investitori potrebbero chiedere rendimenti più alti per comprare i titoli pubblici, riattizzando la crisi.
Un altro elemento di dubbio riguarda la possibilità , assai concreta secondo molti, che l’accordo appena trovato non sia sufficiente a tamponare i problemi di Atene e che la crisi greca sia destinata a riesplodere a breve. Gli indiziati ad un contagio sono, oggi, il Portogallo e, soprattutto, la Spagna. Il governo spagnolo ha annunciato che non rispetterà  gli obiettivi di bilancio per il 2012, mettendo in discussione lo spirito e la lettera del patto fiscale appena firmato. Lo scontro Madrid-Bruxelles è ancora in sospeso, ma potrebbe avere effetti dirompenti. Forse anche in Europa – come nel famoso spot del Superbowl per gli Usa – si è chiuso solo il primo tempo. E il secondo tempo della partita dell’euro è ancora tutto da giocare.

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