Regione al collasso, ventimila in corteo La protesta per l’Alcoa

by Editore | 14 Marzo 2012 10:42

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In ventimila ieri sono scesi in piazza per partecipare allo sciopero generale dell’industria e dei servizi indetto in Sardegna da Cgil, Cisl e Uil. L’isola è una delle regioni più colpite dalla crisi. Gli indici di disoccupazione sono tra i più alti d’Italia, il numero delle famiglie sotto alla soglia di povertà  cresce drammaticamente, i poli industriali della chimica e dell’alluminio sono praticamente allo smantellamento. Non va meglio in altri settori: un numero impressionante di aziende agricole hanno chiuso o sono sull’orlo della bancarotta per i debiti accumulati con le banche; i pastori, poi, messi in ginocchio dal crollo del prezzo del latte, sono alla disperazione. In questa situazione, i sindacati hanno deciso di chiamare alla mobilitazione per chiedere risposte immediate a una situazione che è diventata di vera e propria emergenza, economica e sociale.
Dal palco, al termine di un lungo corteo per le vie della città  aperto da uno striscione che chiedeva la liberazione di Rossella Urru, il segretario nazionale della Uil ha chiamato in causa il governo Monti: «Il tempo delle discussioni è finito – ha detto Luigi Angeletti – ora la palla passa all’esecutivo, che deve decidere di trovare le risorse per gli ammortizzatori sociali e fare l’accordo con i sindacati sul mercato del lavoro. Sono convinto che non c’è più nulla da discutere e non c’è bisogno di perdere altro tempo. Il problema sta tutto nella volontà  del governo di mettere a disposizione le risorse finanziarie necessarie per gli ammortizzatori, così come accade negli altri paesi europei». Sull’articolo 18 Angeletti ha ripetuto il mantra: «Mi sembra poco serio, di questi tempi, discutere su questo tema specifico. Noi vogliono fare un accordo con il governo che riguardi esclusivamente le nuove regole del mercato del lavoro e un sistema di protezione migliore e più inclusivo per chi purtroppo rischierà  di perdere il proprio posto di lavoro nei prossimi mesi». È stato a questo punto che sono partite le contestazioni: fischi e grida di «venduto» e il monito «l’articolo 18 non si tocca». Il leader della Uil ha comunque continuato a parlare e ha finito il suo intervento senza problemi.
Ci sono stati altri momenti di tensione quando gli operai Alcoa hanno rotto il cordone di sicurezza dei sindacati per andare a battere i propri caschetti sui vetri del palazzo del consiglio regionale, in via Roma: alcuni minuti di protesta rumorosa per ricordare l’imminente chiusura dello stabilimento di Portovesme, nel Sulcis, annunciata dalla multinazionale statunitense all’inizio dell’anno. Subito dopo, hanno occupato le scale e la piazza antistante il palazzo dell’Enel presidiato da polizia e carabinieri in tenuta antisommossa, fermando il traffico e battendo i caschetti a terra. L’Enel, nella trattativa con il governo per evitare la chiusura dello stabilimento, ha un ruolo importante. «L’esecutivo – spiega Rino Barca, delegato sindacale Alcoa – deve chiamare Enel al tavolo. Infatti, solo un contratto bilaterale per l’energia tra l’Enel e eventuali acquirenti interessati a rilevare la fabbrica dagli americani consentirebbe agli impianti di continuare a produrre». Il termine ultimo per sottoscrivere un’eventuale «manifestazione di interesse» per l’acquisto dello stabilimento è fissato per il 30 aprile prossimo, mentre la procedura per la mobilità  – contestata dal sindacato, che punta a ottenere gli ammortizzatori sociali – scade il 4 aprile.

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