by Editore | 21 Marzo 2012 7:08
Sembrerebbe proprio che ora la sua previsione si stia avverando. Prima la strage dello scorso 22 luglio a Oslo e sull’isola di Utoya, in Norvegia, 77 vittime, perpetrata da Anders Behring Breivik, poi quella del 13 dicembre a Firenze compiuta da Giancarlo Casseri, un militante di Casa Pound, che ha assassinato, sparando “nel mucchio”, due ambulanti senegalesi. Quindi la scoperta in Germania di una cellula terroristica denominata «Clandestinità nazionalsocialista», responsabile tra il 2000 e il 2007 di ben dieci delitti, di cui nove a sfondo razziale, in maggior parte piccoli commercianti di origine turca. Solo poche ore fa, infine, la mattanza alla scuola ebraica di Tolosa.
Come per Breivik e Giancarlo Casseri, il rischio, ancora una volta sarà quello di veder derubricato sbrigativamente l’avvenimento come il frutto della pura follia. Ma tutte queste figure non sono cresciute isolate. Hanno solo portato alle estreme conseguenze la cultura xenofoba e fascista cui avevano aderito, ritenendo fosse giunto il momento dello scontro. Come “lupi solitari” sono passati all’azione, fuoriusciti dal magma del populismo e del radicalismo di destra.
Il nemico esterno
In Europa populismo, nazionalismo, estremismo di destra e neonazismo, per quanto continuino a rappresentare fenomeni specifici, tendono sempre più ad accavallarsi e sovrapporsi, mescolandosi l’uno nell’altro. Le situazioni, da paese a paese, sono spesso molto diverse. Diversa anche l’incidenza della crisi economica sulle realtà nazionali. Simile, invece, la scelta di scagliarsi, in primo luogo, contro un nemico esterno, di volta in volta identificato nei rom, nei gay, negli ebrei, nei musulmani o negli stranieri in genere. Un’ “invasione” contro la quale riscoprire e rilanciare presunti valori patriottici attraverso un acceso nazionalismo o velleità separatiste. Un unico fenomeno con mille sfaccettature.
I processi di globalizzazione hanno accompagnato l’ascesa di queste tendenze. La loro progressione, prima lenta poi accelerata, è avvenuta in un quadro che è andato rapidamente trasformandosi, segnato da nuovi rapporti economici e finanziari come da profondi cambiamenti tecnologici, con l’introduzione di un’instabilità generale, di insicurezza e paura. Alcuni mutamenti epocali, come il crollo dell’Unione sovietica, le migrazioni dall’Africa, dall’Asia e dall’Europa orientale, l’11 settembre 2001, le catastrofi ecologiche, hanno a loro volta consentito di far incrociare e legare fra loro sentimenti nazionalistici e razzisti, in un quadro politico europeo segnato dalla crisi dei tradizionali partiti e il manifestarsi di una forte mobilità elettorale calamitata in maniera significativa da chi garantiva, di fronte al caos, soluzioni come la chiusura delle frontiere e la riappropriazione del territorio. In molti paesi a far da collante anche il senso di rabbia per una grandezza venuta meno.
La destra dei partiti conservatori
A partire dalla metà degli anni Ottanta, si è anche prodotto il progressivo spostamento a destra dei partiti aderenti al Partito popolare europeo. L’originaria matrice cristiano democratica fu messa in discussione, prima con l’ingresso nel 1983 di Nuova democrazia, partito greco ultraconservatore, e qualche anno dopo, nell’aprile 1991, con l’apertura formale del Ppe ai conservatori britannici e danesi. Nel 1994 avrebbe dovuto entrarvi il partito italiano vincitore delle elezioni politiche in quello stesso anno, cioè Forza Italia. Dopo un iniziale rifiuto da parte del Ppe, a causa degli accordi politici ed elettorali con Alleanza nazionale, dati i trascorsi neofascisti di questo partito, l’ammissione ufficiale si concretizzerà definitivamente nel dicembre 1999. Grazie infine alla nascita del Popolo della libertà nel 2009 (partito subito ammesso nel Ppe), a seguito della fusione di Forza Italia e Alleanza nazionale, anche alcune vecchie figure della storia del neofascismo italiano sono entrate a far parte della famiglia popolare europea.
La deriva ungherese
In questo quadro va colta la deriva in corso in Ungheria, un autentico processo di fascistizzazione. Da quando, nell’aprile 2010, il premier nazionalconservatore Viktor Orban e il suo partito Fidesz sono arrivati al governo del Paese, in una progressiva escalation è stata prima varata una nuova costituzione che ha cancellato ogni riferimento alla repubblica, sostituita da espliciti richiami religiosi, poi sono state approvate leggi liberticide con l’intento di sottomettere la magistratura, la produzione artistica, l’insegnamento universitario e la stampa al controllo del governo. Il governo ha anche introdotto «il lavoro utile obbligatorio» (koezmunka) per i disoccupati, in stragrande maggioranza di etnia rom, costretti per non perdere i minimi sussidi di povertà a prestare lavoro manuale, otto ore al giorno, con indosso magliette di riconoscimento, a favore dello Stato.
Da rilevare anche la forte crescita elettorale (il 16,7% alle ultime politiche) del Movimento per un’Ungheria migliore (Jobbik), che ha dato vita a veri e propri gruppi paramilitari (come la Guardia Magiara), protagonisti di marce di intimidazione nonché di diversi episodi di pogrom contro i rom. Di impronta antisemita, Jobbik, formalmente all’opposizione, dichiara di battersi contro le «congiure massoniche e sioniste», ispirandosi alle Croci frecciate, ossia alle milizie di Ferenc Szalasi, salito al potere nel 1944 sotto l’egida degli occupanti nazisti.
Neofascisti e neonazisti
Per quanto il quadro delle organizzazioni apertamente neonazifasciste in Europa si presenti oggi assai frammentato, ciò che con preoccupazione va rilevato è che in taluni casi manifesta un proprio autonomo insediamento elettorale: il British national party in Gran Bretagna (due eletti nelle ultime elezioni europee), l’Npd in Germania (è entrato in alcuni parlamenti regionali) e lo Jobbik ungherese, quest’ultimo diventato una sorta di modello da seguire con il suo mix di radicalismo populista e ideologia nazifascista.
Da segnalare anche l’ormai pluridecennale fenomeno delle bande naziskin, protagoniste, da Est a Ovest, di una innumerevole catena di aggressioni e omicidi, con picchi elevati di violenza in Germania (il tabloid «Bild», citando fonti delle forze di sicurezza, ha parlato di 607 feriti nel 2011), ma soprattutto in Russia, dove in questi anni si sono registrati centinaia di attacchi, spesso mortali, ai danni di immigrati asiatici e caucasici. Alcune reti, da Blood and honour ad Hammerskin, hanno d’altro canto svolto un lavoro spesso sotterraneo di raccordo e moltiplicazione di queste esperienze, favorendo la penetrazione di neonazisti in misura massiccia all’interno delle tifoserie ultras negli stadi di mezza Europa.
L’estrema destra italiana
L’evoluzione dell’estrema destra in Italia è ormai data dalle direttrici di sviluppo di ampi suoi settori, intenzionati, da un lato, a rinverdire le gesta del primo movimento fascista (si veda Casa Pound), dall’altro, a evolversi verso il neonazismo. La tendenza, in questo secondo caso, è all’assunzione in forme sempre più esplicite di riferimenti storici, mitologie e simbologie tratte dalla storia del Terzo Reich. Non un fatto astratto, ma una nuova identità destinata inevitabilmente a produrre conseguenze, riversandosi in una società a composizione sempre più multietnica e complessa. Ci riferiamo alla rivalutazione operata da Forza nuova di alcune formazioni collaborazioniste dei nazisti negli anni Quaranta: parliamo della Guardia di ferro rumena e delle Croci frecciate ungheresi. Ci riferiamo anche all’esaltazione di criminali di guerra come Leon Degrelle, ex generale delle Waffen-SS, ma soprattutto al rilancio di alcune teorie circa la cospirazione dei circoli finanziari e massonici all’origine dell’attuale crisi economica. Tornano a comparire in Italia sui blog del radicalismo di destra termini come «plutocrazia», accompagnati dalla pubblicazione delle vignette nazionalsocialiste degli anni Trenta, con i banchieri e i mercanti con il naso adunco in procinto di spartirsi il mondo.
Antiche ossessioni
In uno studio della fondazione Friedrich Ebert sul razzismo e l’intolleranza in Europa, pubblicato nel marzo scorso, alla domanda posta sull’influenza degli ebrei nei rispettivi paesi, emergeva l’assenso del 19,7% dei tedeschi, del 21,2% degli italiani, del 27,7% dei francesi, del 49,9% dei polacchi e del 69,2% degli ungheresi. Dati su cui riflettere.
Nel passaggio epocale verso società sempre più multiculturali, dentro agli sviluppi dell’attuale crisi capitalistica, va colto l’inquietante riemergere dei miti complottisti e delle antiche ossessioni sulla purezza del sangue e della razza. Pensavamo di essercele lasciati alle spalle.
GIOVANI DESTRE CRESCONO
Questo lo stato dei partiti dell’estrema destra in Europa.
Inghiterra – British National Party 6,2%.
Olanda – Partito per la libertà 17%.
Austria – Partito della libertà dell’Austria e Alleanza per l’avvenire dell’Austria 17%.
Belgio – Vlaams Belang 10,9%.
Danimarca – Partito del Popolo 14,8%.
Grecia – Laos 7,2%.
Francia – Front National 10%.
Svezia – Democrazia svedese 5,7%.
Svizzera – Unione democratica di centro 25,9%.
Norvegia – Partito del progresso 22,1%.
Ungheria – Jobbik 16,7%, Fidesz 52%.
Slovacchia – Partito nazionale 11,96%.
Bulgaria – Ataka 11,96%.
Romania – Partito della Grande Romania 8,6%.
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