by Editore | 29 Marzo 2012 8:08
Il luogo, la piazza della Rivoluzione dedicata al padre della patria José Martà, di fronte ai ritratti degli eroi della rivoluzione, il Che e Camilo Cienfuegos. Il pontefice ha riconosciuto «i passi avanti» fatti dal governo socialista in favore della Chiesa cattolica (perché «possa svolgere la sua missione») e della libertà di culto, e ha invitato ad «avanzare in questa via e a rafforzare» la scelta delle riforme.
La libertà di fede, ha detto nella sua omelia, è parte della libertà che è bene fondamentale dell’uomo e pilastro della sua ricerca della verità . La libertà costituisce la condizione fondamentale nella ricerca «della pace e della riconciliazione nazionale», missione quest’ultima che vede il pieno impegno della Chiesa cattolica. Accanto al messaggio della sua missione pastorale, nel finale dell’omelia, papa Ratzinger ha espresso in maniera chiara lo scopo politico associato a tale missione: il «passo avanti» chiesto al governo cubano è la possibilità della Chiesa di «essere presente nelle scuole». Insomma, che si apra la possibilità di insegnamento di religione o, meglio, che sia permesso un qualche ordine scolastico gestito dai cattolici: per rafforzare la sua richiesta il papa ha citato e ricordato l’opera di insegnamento di Felix Varela, religioso e filosofo morto a metà dell’Ottocento e considerato assieme a Martà il padre della patria cubana. Felix Varela, ha affermato il papa, è il vero «modello di trasformazione sociale» al quale guarda la Chiesa.
Il pontefice ha concluso l’omelia riprendendo la tesi espressa 14 anni fa da papa Wojtyla, affermando che «Cuba e il mondo necessitano di cambiamenti» e che l’isola non debba essere isolata (dall’embargo Usa). Dopo la messa l’incontro con Fidel, rimandato all’ultimo giorno per non correre il rischio di eclissare l’incontro privato di martedì pomeriggio di Ratzinger – anche nel suo ruolo di capo dello Stato del Vaticano – e il presidente Raàºl. Quaranta minuti di colloquio «cordiale». Mentre il cardinale Bertone e le autorità cubane discutevano di temi che riguardano i rapporti fra Vaticano e Cuba: al governo cubano è stato chiesto di dichiarare giorno festivo il venerdì santo (papa Wojtyla aveva ottenuto che fosse dichiarato giorno festivo il Natale) e una maggiore attenzione ai diritti dei detenuti (con riferimento alle condizioni delle carceri giudicate «pessime» da organizzazioni in difesa dei diritti dell’uomo). Alle richieste di «maggiori aperture» avanzate dal pontefice, aveva comunque risposto nella mattinata di martedì il vice presidente del Consiglio dei ministri, Marino Murillo. In una conferenza stampa aveva ribadito due punti: che le riforme economiche e sociali approvate dal partito comunista e dal Parlamento avvenivano all’«interno del modello socialista» e, secondo, che il piano approvato (fino al 2015) non «prevede riforme politiche». Pur con il papa, ha deciso di non incontrare una rappresentanza del dissenso. Nei giorni scorsi soprattutto le Damas de blanco, mogli e parenti di (ex) detenuti politici, avevano fatto appello al pontefice perché, ricevendole, legittimasse la loro attività . Una scelta che, anche volendolo – ma una forte parte del vertice episcopale è assai cauta con tale opposizione – Ratzinger non poteva fare. Per il vertice politico cubano – compreso lo stesso Fidel Castro – tutto il dissenso è finanziato e al servizio del «grande nemico» del Nord, gli Stati Uniti d’America.
«Con piacere saluterò sua eccellenza papa Benedetto XVI, come feci nel 1998 con Giovanni Paolo II, un uomo al quale il contatto con i bambini e con gli umili cittadini del popolo suscitava invariabilmente sentimenti di affetto». Con queste parole Fidel ha annunciato in una breve «riflessione» – dal titolo «I tempi difficili dell’umanità », pubblicata dai quotidiani del partito comunista, Granma e Juventud Rebelde – il suo incontro con Ratzinger.
Brevi parole che però sembrano sottolineare la differenza tra la missione di papa Wojtyla – che aveva suscitato grande interesse e partecipazione nella popolazione cubana soprattutto per l’umanità del personaggio e la sua capacità di parlare, anche con i gesti, agli umili – e la sostanziale freddezza, almeno così l’avvertono molti cubani, dell’atteggiamento di Benedetto XVI.
A chi aveva ipotizzato che il làder maximo si genuflettesse al cospetto del papa confidandogli la propria conversione, Fidel ricorda che già a metà degli anni Settanta del secolo scorso «giunsi alla convinzione che marxisti e cristiani sinceri – e ne conobbi molti – indipendentemente dalle loro convinzioni politiche e religiose, dovevano e potevano lottare per la giustizia e la pace tra gli esseri umani».
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