Quella mappa degli eroi che diventarono un mito

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Per quale motivo Plutarco sentiva il singolare dovere di “purificare” il mito? Eppure è proprio questo che dichiara nel proemio alla sua Vita di Teseo. È mia intenzione, scriveva infatti, sottomettere alla ragione il mito per purificarlo, in modo da dargli almeno l’apparenza di una historia; ma ogni volta che ostinatamente rifiuterà  il credibile e non vorrà  sottomettersi al verosimile, allora sarò costretto a chiedere scusa ai benevoli lettori, perché accolgano con indulgenza questi vecchi racconti. Agli occhi di Plutarco, dunque, il mito ha bisogno di essere “purificato” perché contiene troppe cose che potrebbero urtare la suscettibilità  di chi lo ascolta, visto che viola le regole del verosimile. 
In realtà  che i racconti mitologici risultassero incredibili, o inverosimili, lo si era notato ben prima di Plutarco. Basta ricordarsi del giorno in cui Fedro e Socrate, nel Fedro di Platone, si incamminarono alla volta del celebre platano, passeggiando lungo la riva dell’Ilisso. Fedro si era ricordato che, proprio da quelle parti, il dio Borea aveva rapito la bella ninfa Orizia. I due si erano scambiati qualche battuta sul luogo (presunto) di quel rapimento, dopo di che Fedro, alquanto bruscamente, aveva rivolto al suo compagno la seguente domanda: «Credi tu, o Socrate, che il mito di Borea e Orizia sia vero?» Una domanda terribile. Fedro, infatti, mostrava di nutrire dei dubbi sulla “verità ” dei racconti tradizionali che circolavano ad Atene riguardo alle varie divinità  e alle loro vicende: e che facevano parte non solo della tradizione, ma anche della religione della città . Altri credono a questi miti, sembra voler dire Fedro, ma tu, o Socrate, ci credi? E di conseguenza, io posso crederci o no? 
Per la verità  la risposta di Socrate era stata abbastanza abile: «Se non ci credessi, come fanno i sapienti, non farei nulla di strano. Comunque, con una certa qual abilità  sofistica potrei anche mettermi a dire che fu un soffio di Borea [il vento, non il dio] a spingere giù Orizia dalle rocce vicine … e che a motivo di questo incidente si disse che la ninfa era stata rapita da Borea … Solo che io, Fedro, anche se trovo divertenti questo genere di interpretazioni, penso che richiedano troppo ingegno, troppa fatica, e non le considero certo una fortuna: se non altro perché chi le pratica si troverà  anche costretto a raddrizzare la forma degli Ippocentauri, o quella della Chimera, e verrà  sommerso da una folla di Gorgoni, di Pegasi, e da tutta una massa di creature assurde e mostruose». 
Socrate insomma non aveva nessuna intenzione di dedicare i suoi giorni a interpretare – o purificare – i miti. Non gli interessava stabilire se fossero veri o falsi, tantomeno voleva che la sua vita fosse invasa da Pegasi o da Chimere che chiedevano di essere resi almeno più verosimili tramite qualche acrobazia intellettuale. E come molte altre volte, Socrate aveva ragione.
La mitologia greca infatti non solo va presa così com’è ma, soprattutto, è bella così com’è. Per accorgersene basta sfogliare il volume di Giulio Guidorizzi, realizzato con la collaborazione di Silvia Romani, appena edito nei Meridiani Mondadori: Il mito greco. Gli eroi. Una magnifica antologia di testi che fa pendant con quella, pubblicata tre anni fa, che conteneva invece i racconti relativi agli dei. Con questo secondo volume Guidorizzi ci fornisce un indispensabile strumento non solo per perdersi dietro a Chimere e Ippocentauri, ma per approfondire quella vera e propria mappa culturale che il mito eroico svela agli occhi di chi lo sa leggere: eroi fondatori che furono un dì bambini esposti nella natura selvaggia, eroi dal corpo invincibile o marchiato, eroine rovinose o salvifiche, fanciulle sacrificate o streghe efferate. 
Ma soprattutto figure soprannaturali che, attraverso il culto che viene loro dedicato, presentificano la potenza del divino agli occhi degli umani. «Molto meno potenti dagli dei da cui discendono», scrive Guidorizzi nella sua introduzione, «ma molto vicini agli uomini e alle loro opere, gli eroi sono figure sacre, al punto che senza di loro sarebbe impossibile concepire la religione dei Greci». Con buona pace di Plutarco e del suo amore per il verisimile.


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