Quei Tre Fattori che Riaprono i Giochi
Con gusto macabro, un consigliere di Sarkozy preannunciava qualche giorno fa la rimonta o, per stare alla metafora, la resurrezione di un presidente dato per politicamente morto troppo presto, con contorno di voltafaccia e impietosi bilanci della sua breve stagione, alcuni dei quali — siccome il mondo è paese — redatti da personaggi un tempo a lui vicini. «La sua eredità sarà di aver regalato alla sinistra tutte le istituzioni della Francia, dai municipi all’Eliseo», scrive Jacques Attali, al quale Sarkozy aveva consegnato l’incarico di tracciare la road map delle riforme.
Puntualmente, è arrivato ieri il sondaggio che annunciava Sarkozy davanti allo sfidante socialista, Franà§ois Hollande, al primo turno. Per la verità , lo stesso sondaggio prevedeva la sconfitta al secondo turno, con uno scarto notevole (54 a 46) e un secondo sondaggio, diramato poche ore dopo, confermava distanze incolmabili. Non sono naturalmente queste le notizie che riportano il sorriso nel campo del presidente, ma la sensazione, suscitata appunto dai primi sondaggi in contraddizione, che a quaranta giorni dal voto si sia messa in moto una dinamica più favorevole (o non irreversibile) per effetto di diversi fattori concomitanti.
Il primo è la sua discesa in campo ufficiale, evento che negli ultimi giorni ha praticamente occupato tutto lo spazio mediatico, con gigantesche adunate di militanti e interminabili maratone televisive: due ambiti in cui Sarkozy ha potuto sfoderare le sue armi migliori, energia oratoria e padronanza di argomenti. Chi lo descriveva rassegnato e incline al ritiro della politica, come lui stesso ha preannunciato, si è dovuto ricredere di fronte al piglio del combattente che dà il meglio di sé nei momenti più difficili.
Il secondo è la radicalizzazione dello scontro, in termini classici di destra e sinistra, che lascia meno spazio a terzi incomodi (da Bayrou a Marine Le Pen alla sinistra radicale di Mélenchon) e favorisce la polarizzazione dei consensi. Con l’avvicinarsi del primo turno, Sarkozy e Hollande inseguono le ali estreme dell’elettorato e cercano di sedurre il proprio campo con argomenti ideologici e identitari. Tipiche le proposte di tassare fino al 75 per cento i più ricchi o di dimezzare il flusso annuale d’immigrati. Emblematica la diversa idea di Europa. Pochi ci credono e tutti sanno che, al secondo turno, progetti e orizzonti saranno più realistici per convincere il centro dell’elettorato, ma intanto occorre scaldare gli animi toccando i nervi più scoperti e le aspettative più rabbiose.
Il terzo elemento è l’alta percentuale d’indecisi, oltre il 46 per cento, un dato che getta molte ombre sull’attendibilità dei sondaggi e offre ampie possibilità di recupero.
Il problema maggiore del presidente è di superare la crisi di rigetto della società francese verso la sua personalità e la sua immagine più che verso il suo programma. Il problema maggiore di Hollande, che sta capitalizzando questa crisi di rigetto, è invece convincere i francesi di avere un programma migliore e soprattutto credibile, anche all’esterno della Francia, fra i partner europei.
Il leader socialista sta però riuscendo nella complicata alchimia di tenere insieme la Francia delle diversità e delle rivendicazioni radicali (dai precari agli immigrati, dalle femministe agli intellettuali) con la Francia dei funzionari pubblici e degli operai sindacalizzati che teme le riforme e aspetta la manna dello Stato protettore, plasmato dai governi socialisti e gollisti. Sarkozy tenta il recupero presentatosi come il campione dei valori da conservare e delle più profonde riforme economiche, con qualche acuto populista, come le bordate contro guadagni indecenti e espatriati fiscali.
A condizionare il risultato sarà come sempre la miscela di conservazione-rivoluzione nel Paese che da qualche decennio attende il grande riformatore.
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