QUEI CLASSICI DEL PENSIERO NELLE EDIZIONI GOBETTI

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Nel 1966 Franco Antonicelli mise insieme un libretto con alcuni frammenti autobiografici di Piero Gobetti: Vanni Scheiwiller che lo pubblicò volle il titolo L’editore ideale perché, tra le altre cose, c’era anche uno scritto in cui Gobetti dava conto del suo lavoro editoriale. E diceva così: «Ho in mente una mia figura ideale di editore. Mi ci consolo, la sera dei giorni più tumultuosi, 5, 6 per ogni settimana, dopo aver scritto 10 lettere e 20 cartoline, rivedute le terze bozze del libro di Tilgher o di Nitti, preparati gli annunci editoriali per il libraio, la circolare per il pubblico, le inserzioni per le riviste, litigato col proto che mi ha messo un errore nuovo dopo 3 correzioni… Penso un editore come un creatore. Creatore dal nulla se egli è riuscito a dominare il problema fondamentale di qualunque industria: il giro degli affari che garantisce la moltiplicazione infinita di una sia pur piccola quantità  di circolante. Il mio editore ideale che con una tipografia e un’associazione in una cartiera controlla i prezzi; con quattro librerie modello conosce le oscillazioni quotidiane del mercato, con due riviste si mantiene a contatto coi più importanti movimenti di idee, li suscita, li rinvigorisce, non ha bisogno di essere Rockefeller».
Di Gobetti si ricordano in genere le riviste, Energie nove, La Rivoluzione liberale e Il Baretti, di cui esistono anche cospicue antologie, ma molto meno la casa editrice che portava il suo nome e che produsse oltre un centinaio di volumi, alcuni stampati dagli amici dopo la sua morte avvenuta il 16 febbraio del ’26 a Parigi. È notizia di non poco rilievo l’iniziativa del Centro Gobetti e delle Edizioni di storia e letteratura di riproporre in anastatica l’intera produzione delle edizioni Gobetti, cominciando con Risorgimento senza eroi dello stesso Gobetti, che in realtà  uscì postumo, e proseguendo con un libro di Luigi Sturzo, La libertà  in Italia e con un saggio di John Stuart Mill, La libertà  con la prefazione di Luigi Einaudi e una postfazione di Nadia Urbinati. Scelte non casuali. Gobetti stesso aveva chiesto a Einaudi, suo professore all’università , di scrivere un’introduzione a Mill. L’agilità  e la competenza con cui il poco più che ventenne Gobetti si muoveva in mezzo ad intellettuali molto più anziani di lui, è una cifra ricorrente del suo agire. D’altra parte quando, a diciott’anni, andò a Firenze per incontrare Salvemini, si sentì proporre la direzione della rivista che Salvemini dirigeva, L’Unità . 
Il programma di Gobetti puntava a incrementare il dibattito politico, offrendo una tribuna aperta, tanto più necessaria nel momento in cui il fascismo stava restringendo i margini di libertà . Lo stesso Gobetti nel ’24 dedicò uno scritto a Matteotti (secondo un recensore «la migliore commemorazione che di Matteotti sia stata scritta in Italia») e citiamo ancora Una battaglia liberale. Discorsi politici (1919-1923) di Giovanni Amendola, La rivoluzione meridionale di Guido Dorso, Le lotte del lavoro di Einaudi, La pace di Francesco Nitti, Nazionalsocialismo di Luigi Salvatorelli. Ma lo spettro degli interessi di Gobetti era prodigiosamente ampio e dunque non mancarono i libri squisitamente letterari e fra tutti è giusto indicare per primo Ossi di seppia di Montale, il racconto Amedeo di Giacomo Debenedetti, il saggio su Jacopone da Todi di Natalino Sapegno, il repàªchage dello scapigliato Cagna con Alpinisti ciabattoni. E poi c’è l’arte, a cominciare dal saggio di Gobetti stesso su Casorati… 
Ritrovare, con postfazioni ad hoc, tutti questi libri spesso introvabili, sarà  dunque un concreto omaggio all’editore ideale che fu Piero Gobetti. Che, nello scritto sopra citato, nota come La pace di Nitti sia stato il libro politico più venduto in Italia, mentre il successo maggiore lo ha avuto in Bulgaria, Svezia e Cecoslovacchia. «Il libro di cultura in Italia si stampa normalmente in 2.000 copie, in Germania in 5.000; la prima edizione di un nostro romanzo importante è di 5.000 copie, in Francia di 20.000… La verità  è che paragonata colla cultura europea moderna l’Italia manca di autori, di editori, di librai, di pubblico». Questo pensava Gobetti nel 1925 e certo la situazione non è più quella da tempo, anche se la parola crisi ricorre ciclicamente. Pochi anni dopo, nel ’33, Giulio Einaudi, che aveva incontrato Gobetti una sola volta di sfuggita quando era venuto a parlare con suo padre, avrebbe fondato la sua casa editrice che di quella gobettiana è in qualche modo un’erede.


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