Qualche domanda a Repubblica sui cattivi ragazzi

by Editore | 3 Marzo 2012 14:40

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Non solo per i fatti in sé, quanto per lo stile di cronaca con cui i media italiani li raccontano. In un paese che in teoria si sta liberando dalle pastoie della disinformazione berlusconiana, la cronaca della Valsusa è diventato il banco di prova di un nuovo ordine di narrazione.
I media sono stati compatti nel descrivere la violenza dei manifestanti e nel creare casi pretestuosi. Il manifestante che dice a un poliziotto «pecorella» diventa più centrale dei manganelli e della violenza burocratica, affaristica, poliziesca che travolgono un’intera comunità , uomini donne e anziani. Una comunità  di gente di montagna che lotta per l’integrità  del proprio territorio era un soggetto difficile da far figurare nel ruolo del cattivo. Con pazienza e dedizione, i media italiani ci sono riusciti.
In questo coro non ha fatto eccezione la Repubblica, se non per alcuni commenti di Adriano Sofri. C’è da chiedersi perché un quotidiano considerato di centrosinistra si scateni in una campagna contro le proteste della Valsusa. E se sia possibile che un certo stile di manipolazione dei fatti berlusconiano si stia trasferendo, per paradosso, nella redazione di via Colombo. L’importanza del lavoro di questo quotidiano, che continua a pubblicare informazione e commenti di qualità  su tanti altri argomenti, non impedisce di avvertire il suo sempre più esplicito scivolamento a destra. Negli ultimi tempi, basterà  ricordare l’appoggio alle spinte di Renzi per trascinare a destra il Pd, o l’entusiasmo totale e incondizionato per le scelte tecniche del governo Monti.
La borghesia e piccola borghesia liberal che legge Repubblica è erede, storicamente, della classe sociale che più di ogni altra ha creato e celebrato l’utilità  di un’informazione libera. Ma è anche la classe che si ritrova, oggi, più che mai nostalgica, spaventata e smarrita. A rassicurare, dirigere, utilizzare questo smarrimento non bastano più gli inserti patinati o l’antiberlusconismo che, nella sua ovvia necessità , era un modo per ricordare che si poteva ancora rivendicare un decoro, una razionalità  della politica.
Oggi la nuova narrazione diventa la necessità  non politica, bensì tecnica delle scelte più dolorose. Necessità  delle riforme decise dagli apparati europei. Necessità  delle terapie montiane. Argomenti su cui si può certo dibattere. Ma il modo con cui il progetto di spianare la Valsusa viene presentato come necessità  tecnica e indiscutibile, e l’opposizione degli abitanti derubricata a incubatrice di nuovi estremismi, appare un ulteriore salto di qualità . Con questa logica, anche i manganelli diventano una definitiva necessità  tecnica e lo saranno sempre più, nel clima di crescente scontro sociale. 
L’inquietudine per un simile stile di racconto, poco di sinistra ma molto sinistro, è stata segnalata su queste pagine da Marco Revelli e Pierluigi Sullo. Aumenta in relazione alla contemporanea crisi di un progetto come Il Manifesto, tra gli ultimissimi spazi dove lanciare l’allarme.

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