“Rapimenti, torture, esecuzioni ecco i crimini dei ribelli siriani”

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BEIRUT – Rapimenti, torture, esecuzioni sommarie, non sono un’esclusiva delle forze di sicurezza siriane e delle milizie a loro associate, ma anche l’opposizione ha fatto ricorso a queste pratiche criminali. Ora, avverte Human Rights Watch, l’organizzazione umanitaria con base a New York nota per l’obiettività  dei suoi rapporti, «le tattiche brutali del governo siriano non possono giustificare gli abusi commessi da gruppi dell’opposizione» contro i loro avversari, «in nessuna circostanza». Anche se non si tratta di «strutture organizzate, ma di elementi armati dell’opposizione».
La denuncia di Hrw, resa nota con una lettera firmata da Sarah Leah Whitson, la direttrice della Divisione Medio Oriente, oltre che su alcune testimonianze raccolte, si basa su 25 filmati “postati” su YouTube e analizzati, in cui compaiono esponenti dei servizi di sicurezza siriani catturati dai rivoltosi che confessano, evidentemente trovandosi in condizioni estreme, di aver commesso crimini e abusi contro i ribelli. In 18 di questo filmati i prigionieri presentano chiari segni di violenza fisica: ferite sanguinanti, bruciature, una marcata sofferenza.
E non basta. Hrw avalla la testimonianza di un attivista chiamato Mazen secondo cui un gruppo denominato Abu Issa nel villaggio di Taftanaz, nella provincia di Idlib, ha rapito e torturato a morte tre persone che avevano lavorato per il governo. A Saraqeb, sempre nella provincia di Idlib, alcuni residenti hanno denunciato rapimenti a scopo di estorsione da parte del battaglione Al Nur, un gruppo dell’opposizione salafita. Infine, Human Rights Watch cita almeno due casi di esecuzioni sommarie di elementi delle forze governative fatti prigionieri. Tra questi, un presunto appartenente alle milizie alawite, i cosiddetti shabiba, che appare impiccato ad un albero in un video del 4 febbraio. Nel commento si afferma che l’uomo è stato “giustiziato” dal battaglione Kafr Takharim, appartenente al Libero esercito siriano.
Tuttavia Human Rights Watch non lancia un’accusa generica contro l’opposizione e neanche contro il Consiglio nazionale siriano, che, per quanto diviso al suo interno, ha almeno fatto il tentativo, qualche giorno fa, di imporre un coordinamento delle varie formazioni armate attraverso un Comitato di Difesa (una sorta di Ministero della Guerra) la cui autorità , tuttavia, non è stata riconosciuta dal Libero esercito siriano, che riunisce i disertori dell’esercito di Assad e altri gruppi combattenti.
Ad accrescere l’incertezza, non soltanto sulle forze in campo ma anche sulla direzione che sta prendendo la rivolta siriana, c’è anche il rischio che quella che era nata come una protesta per i diritti civili e la dignità  umana, cui il regime ha risposto con una brutale repressione, degeneri in un conflitto a sfondo settario che vede contrapporsi la minoranza alawita (corrente eterodossa della confessione sciita) cui appartiene anche il clan degli Assad, al potere da 40 anni, e la maggioranza sunnita.
Anche di questo aspetto si preoccupa Hrw quando dichiara che alcuni attacchi condotti da forze dell’opposizione sembrano aver messo nel mirino musulmani sciiti o membri della setta alawita, in quanto tali. Il che potrebbe portare a un allargamento del conflitto all’intera regione, se si tiene conto che Assad riceve il sostegno dell’Iran (sciita) e degli Hezbollah (sciiti) in Libano, mentre all’opposizione vanno i favori della componente sunnita del mondo islamico, in pratica la quasi totalità  dei paesi arabi, dalla monarchia saudita ai paesi del Nord Africa. Ora, dice Whitson: «L’opposizione deve chiarire che immagina una Siria che volta pagina rispetto alle violazioni dell’era Assad e accoglie tutti, a prescindere dalla loro appartenenza religiosa e dal loro retroterra».


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