“Quella multinazionale è della camorra”

by Editore | 20 Marzo 2012 8:14

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NAPOLI – Amaretto di Saronno tipico liquore italiano conosciuto e apprezzato nel mondo. Come del resto i delicati biscotti Lazzaroni. Che però finiscono ora in una brutta storia di camorra, riciclaggio, evasione fiscale e corruzione di giudici tributari. Prodotti tricolore irrimediabilmente sporcati dall’inchiesta della Guardia di Finanza napoletana che travolge il gruppo imprenditoriale Ragosta, oggi proprietario dei marchi. Indagine complessa, cominciata con delle verifiche fiscali di routine sulle ventisette società  della holding. Caccia alle fatture emesse per operazioni inesistenti e all’evasione dell’Iva. Ma poi diventa tutt’altra cosa. E si scopre che il gruppo Ragosta non aveva nulla da temere per quei reati fiscali commessi. Perché aveva a disposizione un esercito di giudici tributari corrotti che aggiustavano le sentenze. Delle sessanta ordinanze restrittive emesse dal gip Antonio Capuano, di cui quarantasette eseguite nella notte, sedici sono a carico di giudici tributari: tre in carcere, tredici agli arresti domiciliari. E tra questi compare come giudice tributario Enrico Potito, avvocato nonché docente di cattedra di Diritto tributario alla facoltà  di Economia e commercio della Federico II. In carcere anche Vincenzo Esposito, professore universitario a contratto che aveva creato una fitta rete di rapporti con i diversi membri della commissione tributaria provinciale. Mentre per la docente di Diritto tributario Paola Coppola e l’assistente Mario Vellecco è scattato il solo divieto di dimora a Napoli. Arrestata tutta la famiglia Ragosta: i tre fratelli Fedele, Giovanni e Francesco, le rispettive mogli, la madre settantenne. Sequestrati beni per oltre un miliardo di euro.
Un «mercimonio di sentenze tributarie», lo definiscono i procuratori Alessandro Pennasilico e Federico Cafiero de Raho. Storia che comincia molto lontano nel tempo, quando l’impresa a conduzione familiare Ragosta comincia ad allargarsi con acquisti di imprese all’asta fallimentare. I soldi vengono dalla camorra, dal clan Fabbrocino, e finiscono nel Lichtenstein e nel Belgio, nelle banche Svizzere. Denaro riciclato con altre acquisizioni, dai grandi alberghi – ad esempio il La Plage resort di Taormina, Palazzo Montemartini a Roma, l’hotel Raito e il Relais Paradiso in costiera amalfitana – alle industrie siderurgiche, al mercato immobiliare. E la divisione “food”, con i biscotti Lazzaroni e l’amaretto di Saronno. Storia già  vista, almeno fino a questo punto della trama. Riciclaggio, la lunga mano del clan Fabbrocino, i contatti con i Casalesi. La frode fiscale fondata su un credito Iva del tutto falso. La scure delle verifiche della Guardia di Finanza. Non è un caso se tra le proprietà  immobiliari del gruppo Ragosta c’è il centro polifunzionale di Poggioreale dove ha sede proprio la commissione tributaria provinciale. “Casa e bottega”, dunque. È lì che si consuma la corruzione. I sedici indagati della commissione sono avvocati, commercialisti, docenti che fanno i giudici tributari ma non sono compatibili perché fanno l’interesse della parte che ricorre contro lo Stato, in questo caso il gruppo Ragosta. Intervengono sull’assegnazione dei ricorsi per emettere sentenze favorevoli.

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