by Editore | 30 Marzo 2012 8:05
ROMA – «Un piccolo artigiano ha una psicologia “a parte”, identifica se stesso con la sua attività . Se l’azienda va male, prova vergogna. Non riesce a scaricare su altri le colpe di un fallimento, si tiene tutto dentro fino a quando il commercialista non gli racconta una verità che già sa. Il mondo gli si sgretola addosso, si sente abbandonato dallo Stato e dalle banche. Tanti, troppi, si sono già suicidati. Altri lo faranno, se questa maledetta crisi non finisce». Edoardo Nesi, ex imprenditore di Prato, ha raccontato la fabbrica nel libro “Storia della mia gente” che gli è valso il Premio Strega.
Perché tanta disperazione tra i piccoli imprenditori?
«Perché negli ultimi dieci anni si è spezzato un paradigma. L’artigiano sente di avere una chiave per interpretare il mondo, è convinto che il successo dipenderà da quanto sarà in grado di lavorare più e meglio degli altri. Invece la crisi e l’invasione della concorrenza, soprattutto cinese, lo hanno lasciato in balia di eventi non prevedibili».
Perché il fenomeno dei suicidi non colpisce le grandi aziende?
«Lì comandano i manager, quando hanno finito di lavorare staccano. Il piccolo imprenditore no, il suo nome e cognome è scritto nell’insegna della azienda. E nonostante quello che si possa pensare, per lui licenziare persone con le quali lavora da anni è un dramma. A quel punto realizza che l’azienda finirà male. Anche perché le banche non aiutano più».
C’è una responsabilità degli istituti bancari nella chiusura delle ditte?
«Senza dubbio. Oggi i fidi concessi si sono ridotti e i tassi di interesse sono aumentati, a discapito della piccola impresa. Eppure ci avevano detto che salvare le banche era necessario per non far collassare il sistema economico. Adesso devono collaborare, riaprire i rubinetti».
Un imprenditore pugliese pochi giorni fa si è suicidato per un prestito da 1300 euro negato. Gli serviva per una fornitura.
«Più è piccola la cifra che non viene concessa, più aumenta il disagio. Si capisce di essere alla frutta».
Un altro, un falegname di Mestre di 60 anni, prima di uccidersi ha lasciato un biglietto con su scritto “mi sento solo”.
«Abbandonato da banche e anche dallo Stato. Quando si lavora con lo Stato siamo alle “revolverate”, come dice mio padre. I pagamenti arrivano in ritardo, ma l’Iva viene riscossa subito. Lo Stato è lontanissimo».
La dimensione familiare dovrebbe offrire protezione?
«Quando le cose vanno bene, il capo sente di essere l’elemento di forza di una comunità . Quando va male, si prende tutta la colpa. È la maledizione del piccolo imprenditore».
Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2012/03/qlo-stato-e-troppo-lontano-chi-produce-non-ce-la-fa-piuq/
Copyright ©2024 Diritti Globali unless otherwise noted.