by Editore | 19 Marzo 2012 7:40
ROMA – «Se la tua nave sta affondando tenta di attraccarla in porto, ricava dalla sua prua un vascello. Porterai con te meno gente, ma potrai riprendere il largo».
Enrico Mentana non crede però a un Mosè che conduca la Rai fuori dall’Egitto.
«Un commissario esterno farebbe la fine dei professori: parentesi tecnocratica in un corpo allenato al rigetto. Ci vuole un uomo nato a viale Mazzini che faccia il direttore generale e renda normale un’azienda abnorme nelle dimensioni, irriconoscibile nelle capacità di governo, pletorica nella struttura di comando».
Renderla normale significa per caso normalizzarla?
«L’età del berlusconismo ha impedito di fare scelte sagge: normalizzarla allora voleva dire unicamente renderla serva di Mediaset. Ma oggi quel verbo, che non dobbiamo avere timore a promuoverlo nella sua identità letterale, induce solo a riflettere sull’esigenza prima: tenere i conti in pareggio, non affondare nei debiti, non morire».
Lo dice lei ai politici che dovranno presto buttarsi a mare?
«E’ questa è la difficoltà che precede ogni altra. Quel che resta dei partiti possiede quel che resta della Rai. Ogni loro potere è perduto tranne quella piccola fiammella accesa. La Rai finora è stata la greppia per piazzare persone, il posto eletto per i fiduciari politici, anche il luogo di autofinanziamento attraverso la quotazione delle fiction. E infine la grande risorsa del potere maschile: designare, insediare, insidiare corpi di donne. Come fanno oggi a soffiare sopra questo ben di Dio?».
Spegnere questa Rai è spegnere la propria vita.
«Vero. E questi partiti senza più idee e senza futuro se perdono anche la visibilità televisiva finiranno esuli in terra patria. Per alcune sigle politiche la tv è l’unico mezzo per farsi riconoscere. E almeno illudersi che la Rai gli porti vita, non morte».
Stima che gli italiani facciano fatica persino a connettere volto con partito?
«Dico esattamente questo. Con Berlusconi al comando dell’Italia gli spalti erano gremiti da tifosi e si poteva convocare uno Stracquadanio e un De Magistris a ogni ora del giorno o della notte e fare il pieno di ascolti. Un giornalismo pigro vedeva servita a tavola il pasto lauto senza muovere un passo. Adesso tutto cambia».
Il commissario appunto, dicono Casini e Fini. E sembra che Bersani…
«Mah, confermo i miei dubbi. Napolitano e Monti hanno il potere, e forse lo eserciteranno, di chiedere ai partiti di non nominare dei rappresentanti di lista nei consiglio di amministrazione. Forse avremo un direttore generale che comanderà sul serio, come è normale. Questa è la soluzione che mi sembra possibile, praticabile, auspicabile».
Se i partiti hanno le loro colpe, noi giornalisti abbiamo spesso indossato l’abito di chi apparecchia a tavola silente e felice.
«E quale dubbio c’è? Tante carriere si sono costruite senza talento ma nell’attesa, che mai è stata vana, di qualcuno che sorreggesse il tuo corpo e lo conducesse ai piani alti».
Il corpo avvista il naufragio e si ribellerà .
«Ma se per esempio vuoi fare un telegiornale di racconto, come immagina Angelo Guglielmi, non ti serve una redazione infinita. Alla Rai ti diranno che la Rai è servizio pubblico e pertanto l’informazione ha bisogno di essere completa, quindi pesante, larga».
Servizio pubblico: la truffa delle parole.
«Quando cadde l’impero sovietico i cremlinologi si trovarono a parlare una lingua morta. D’un tratto successe. Dobbiamo sopravvivere alle nostre abitudini, alle nostre stesse regole. E’ questo, in definitiva, il piacere ultimo del giornalismo: inventare nuove forme di narrazione».
Anche i talk show perdono ascolti, e anche la sua rete deve provvedere a usare il cervello più che il corpo dei tifosi.
«E’ la conferma che con la pigrizia mentale non si va lontani».
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