“Il caldo era insopportabile e ho bevuto acqua dei fiumi ma non ho mai avuto paura”

by Editore | 26 Marzo 2012 7:30

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«Sono finito senza colpe in una guerra non mia». Claudio Colangelo è al sicuro, i guerriglieri maoisti sono già  un brutto ricordo. «Erano quattro giorni che mi dicevano che mi avrebbero rilasciato, non ci credevo quasi più. Poi sabato sera sono arrivati i giornalisti indiani, e stamattina mi hanno lasciato andare». Colangelo, siamo chiari: ve la siete andata un po’ a cercare? 
«Assolutamente no. Ma proprio per nulla, guardi. E’ stata un’opportunità  che hanno colto, come ci ha detto il loro comandate: nel rapimento precedente il governo non aveva ottemperato alle promesse, e hanno visto una buona occasione per alzare tutto a un livello internazionale».
Cosa hanno detto a Panda per farla liberare?
«Che eravamo estranei alle loro battaglie, padri di famiglia, italiani. Credo abbiano giocato la carta del sentimento».
Perché era in Orissa?
«Avevo fatto Rajasthan e Varanasi e poi ero venuto qui perché ci sono molte etnie interessanti. Appena arrivato, Paolo mi ha detto che il governo aveva emanato una legge e la maggior parte delle etnie non erano più visibili. Abbiamo scelto una zona di etnie considerate non più tribali, e siamo passati al commissariato. Lì ci hanno detto: vabbè, sapete che è una zona problematica… ma se volete andare va bene. Lungo la strada Paolo conosceva tutti, si chiacchierava e si beveva di continuo».
Poi vi hanno catturato. Dove?
«Lungo un fiumiciattolo, facevamo un bagno». 
Avete scattato foto discutibili?
«No, nessuna compromettente». 
Non fotografavate donne seminude?
«No, è assolutamente falso. Questa è tutta una polemica interna all’India, e riguarda quelle zone tribali in cui noi non siamo andati: lì sono molto primitivi, le donne vanno in giro discinte e qualcuno scatta foto, ma dove siamo andati noi non c’è assolutamente nulla di questo tipo. Facevamo solo foto ricordo».
A donne che facevano il bagno?
«No, dentro il fiume ci stavamo noi. Io ero appena uscito, ero in mutande. Mi sono seduto e sono spuntati in quattro con un fucile automatico. Abbiamo alzato le mani, e ce le hanno legate dietro la schiena».
Ma Paolo non l’aveva avvertita del pericolo dei maoisti?
«Lui quelle zone le frequenta da 14 anni. Spesso li ha incontrati, ma non si sono mai interessati dei turisti. Gli avevano fatto qualche domanda e se ne erano andati, era sicuro che non ci avrebbero dato problemi».
Non è arrabbiato con Bosusco?
«No, è un personaggio straordinario. Da tutto questo purtroppo uscirà  rovinato, hanno chiuso le aree tribali, non ci sarà  più lavoro, gli toglieranno pure il visto. E’ stato un piacere passare dieci giorni con lui». 
Nessun rancore, allora?
«Sì, con chi mi ha rubato dieci giorni della mia vita senza che abbia fatto nulla per causarlo. Questa è una guerra non mia, ero là  in maniera pacifica, non ho fatto niente di strano, rapirmi è stata una prevaricazione ingiusta». 
Come sta adesso? Guarito dalla malaria?
«Sto assolutamente bene: mai avuto la malaria. E’ Paolo che ha avuto un attacco, ma limitatissimo. Semmai abbiamo sofferto il caldo. Una cosa veramente pesante. Bevevamo acqua dei fiumi: Paolo aveva un liquido igienizzante per uccidere i batteri, ma come minimo era sempre a 30 gradi». 
E intanto si marciava per eludere i controlli…
«Sì, tutti i giorni. A volte partivamo la mattina, a volte la sera, a volte anche di notte. Ci consentivano di montare le nostre tende la sera tardi e la mattina le smontavamo alle prime luci dell’alba. Loro invece erano una ventina, e dormivano all’aperto coprendosi con un telo di plastica. Vivono in condizioni durissime. Non so, forse sono eroi o forse pazzi, o magari stacanovisti: ognuno scelga come definirli. Fare quella vita lì con questo caldo… non so come fanno. Noi abbiamo perso diversi chili». 
Ha avuto paura?
«Paura che finisse male mai, non so se per mia incoscienza. Hanno detto che chiedevano diritti per le etnie, e anche se avevo il fucile alla schiena ero tranquillo». 
Erano sempre armati?
«Tutti: kalashnikov, pistole, fucili automatici. Erano dieci giorni che ci inciampavo. I primi giorni i maoisti erano accorti, poi c’erano fucili dappertutto. Sono ragazzi, poverini, c’era persino una ragazzina minorenne… Una cosa tristissima, mi piange il cuore».

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