“Così finiremo come la Grecia” Spagna in corteo contro Rajoy
MADRID – Il male oscuro dell’Europa non si misura solo in spread e rapporti deficit/pil. Lo raccontano anche le migliaia di spagnoli che oggi scenderannno in piazza per lo sciopero generale contro i “licenziamenti facili” varati (senza concertazione) dal governo Rajoy. Oppure le lacrime di Ana Mendez, 55enne arrivata a Madrid dall’Ecuador dieci anni fa per realizzare il sogno di una vita («un lavoro decente e un tetto per me e i miei figli») e finita ora in un incubo. «È successo undici mesi fa – racconta piangendo a 200 persone pigiate come sardine in un seminterrato a due passi da Plaza de Toros – . Dopo nove anni come badante, sono rimasta disoccupata. Zero lavoro, zero soldi. Per due mesi sono riuscita a mettere assieme i 1.100 euro del mutuo. Poi basta. Mi hanno buttato fuori di casa e ora dormo da mia sorella, otto in 30 mq!». Applausi e altre lacrime in sala. Nella sede della “Plataforma de afectados por la hipoteca”, la Ong che assiste casi come il suo, la capiscono tutti. Per un semplice motivo: sono tutti nelle stesse condizioni. Una quarantina di spagnoli, un centinaio di immigrati da Quito e Guayaquil, una manciata di nigeriani e maghrebini. L’esercito di braccia che ha costruito un mattone alla volta la Fiesta iberica di inizio millennio, rimasto oggi senza lavoro, senza soldi per il mutuo e con la casella della posta gonfia di lettere della banca che annuncia lo sgombero.
Le 50mila persone cacciate di casa in Spagna nel 2011 per morosità sono solo la punta dell’iceberg. La via crucis dell’economia di Madrid è una strada strettissima tra due baratri: la crisi che obbliga il governo a tagliare servizi sociali e approvare riforme lacrime e sangue come quella sul lavoro e un disagio sociale sempre più simile alla tragedia andata in scena ad Atene: 5,6 milioni di disoccupati (il 47,8% tra i ragazzi sotto i 25 anni), tagli alla sanità (nei pronti soccorsi – lamentano le associazioni dei medici iberici – si aspetta 24 ore per trovare un letto), le scuole superiori di Valencia costrette a spegnere il riscaldamento in pieno inverno per risparmiare. Un circolo vizioso in cui l’austerità si autoalimenta, mandando in recessione il paese (-1,7% il pil 2012) e a picco le sue entrate fiscali, con Iva (-9,8%) e Irpef (-2,7%) crollate nel 2012.
Il governo conservatore di Mariano Rajoy fatica a tenere la barra dritta: da una parte ha chiesto alle banche di sospendere gli sfratti per disoccupati con case di valore inferiore ai 200mila euro. Dall’altra ha varato «la riforma del lavoro più regressiva della storia di Spagna», come dice Candido Mendez, leader dell’Ugt, alla vigilia dell’ottavo sciopero generale della storia iberica nel dopo-Franco.
«Pioverà sul bagnato. Guardi qui fuori – vaticina Ana Labrato, responsabile dell’Ufficio di collocamento di Villaverde, quartiere popolare a sud di Madrid – è così ogni mattina». Le dieci sedie nella sala d’attesa di Plaza Mayor sono tutte piene. Quindici persone bivaccano in piedi da almeno un’ora. Jose Luis Guerrero, rassegnato, sa già che sarà un altro giorno buttato via. «Ho 29 anni, sono senza lavoro dal 2008 e campo con i 420 euro del sussidio di Zapatero – dice – . Grazie all’Agencia de Empleo ho organizzato venti colloqui e un corso da cuoco di 250 ore. Ma a parte qualche impiego saltuario, nada».
Rajoy dice che le nuove norme sul lavoro sono fatte apposta per gente come lui: garantiscono aiuti a chi assume ragazzi sotto i trent’anni. Limitano a due anni i contratti a tempo determinato. E istituiscono i licenziamenti low-cost: 20 giorni di indennizzo per anno lavorato (erano 45) per un massimo di un’annualità (erano 42 mesi) per le imprese che registrano fatturati in calo per tre trimestri. Un male necessario «per garantire la crescita che farà decollare l’occupazione», sostiene ottimista Juan Rosell, numero uno della Ceoe, la Confindustria spagnola.
Sarà . Se il buongiorno si vede dal mattino, però, i segnali non sono incoraggianti: la Gedesma, società di gestione rifiuti del Comune di Madrid, ha licenziato in tronco nei giorni scorsi – riforma Rajoy alla mano – 8 dipendenti su 42 «per la mancanza di prospettive economiche». E secondo la Fundacion Idea, think tank dell’ex-ministro socialista Jesus Caldera, la deregulation «farà saltare nel 2012 ben 150mila posti di lavoro in più dei 635mila previsti dal Governo».
È pessimista pure Ernesto Torres, ex operaio edile 53enne, ridotto a fare l’uomo sandwich a quattro euro l’ora per un “compro-oro” in Paseo Alberto Palacio (“40 euro al grammo, più che in Puerta del Sol!”): «Io sento il polso della strada. La situazione peggiorerà . L’Europa? È una matrigna che regala mille miliardi alle banche e a noi chiede di tirar la cinghia». Oggi Ernesto sarà in piazza «per fare sentire la voce della gente a Merkel e a Bruxelles». Abituati male, è convinto Mendez, dalle timide reazioni sociali (molotov degli incappucciati a parte) nelle strade di Atene. Rajoy e la Ue sperano in un flop, contando nella debolezza di un sindacato «vissuto come un’oligarchia autoreferenziale e scavalcata dalla freschezza degli Indignados». Parola di Jose Luis Alvarez, professore di sociologia a Harvard e all’Insead.
Si vedrà come andrà . Chi cerca un lavoro stabile e non si fida né del governo né dei sindacati, intanto, può sempre affidarsi al Signore: «Quante promesse ti hanno fatto senza mantenerle? Io non ti garantisco un gran stipendio. Ma ti assicuro un posto fisso», recita la pubblicità più controversa in onda in questi giorni su tv e radio spagnole. Lo stipendio è di 850 euro al mese. A pagarlo è la Conferenza episcopale che per attirare seminaristi ha bombardato l’etere di spot che promettono lavoro e «ricchezza eterna», cavalcando la sirena della stabilità . Un tema d’attualità (pure la Cei ha bacchettato Fornero) anche nell’alto dei cieli.
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