“Assad deve lasciare il potere ma la diplomazia sbaglia tutto”

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«Il presidente Assad lasci il potere: dopo 7000 morti, con lui non si può trattare. Però, attenzione: la Francia di Juppé, e con lui l’Occidente, sta sostenendo le frange più estremiste della rivolta, i Taliban siriani: è tanto più straordinario visto che in Francia è vietato persino l’hijab». Haytham Manna’, storico rivale del regime, il candidato più accreditato a guidare la transizione democratica laica, è un amante del parlar franco. A Roma ospite della Comunità  di Sant’Egidio, guida il Comitato nazionale siriano per il cambiamento democratico. Oggi, che da Homs arrivano notizie di nuovi assedi e massacri, Manna ha fretta: «Dobbiamo concordare un progetto di transizione: ogni giorno perdiamo 100 vite per colpa della “diplomazia”». 
Dottor Manna’, attivisti e regime si rimpallano la responsabilità  di agguati e massacri. E lei?
«Quel che è chiaro è che dall’inizio il regime ha dato il peggio di sé. La soluzione della “sicurezza” ha portato molti alla disperazione. Però, bisogna essere trasparenti: il radicalismo esiste; si viene uccisi per la propria identità  se si è dalla parte sbagliata della divisione etnica. Perciò noi chiediamo una Siria democratica e laica. Ma mentre gli aiuti europei vanno agli islamisti, cioè a coloro che sono più lontani dall’esempio europeo, noi laici siamo gli “enfants pauvres”, i bambini poveri della rivoluzione, malgrado nella nostra leadership vi siano tutte le componenti della società  siriana».
Lei è scettico verso l’impegno della comunità  internazionale?
«Come non esserlo? La Siria diventa un terreno di scontro per le strategie delle grandi potenze. Vorrebbero trasformarci in rivoluzionari a comando: chi per la guerra all’Iran, chi per lo scontro fra sciiti e sunniti, chi per creare un asse sunnita dal Golfo alla Turchia. Noi diciamo: “Grazie a tutti, ma la soluzione è siriana”». 
La militarizzazione della rivolta vi divide?
«È un’opzione suicida: sotto il profilo tattico, né i ribelli, né i miliziani libici o iracheni infiltrati in Siria sono addestrati a battersi contro l’esercito siriano. È una battaglia persa in partenza. Sotto l’aspetto politico, si perde la gran massa dei siriani, pacifici. La militarizzazione rafforza gli estremisti. Sappiamo di jihadisti arrivati dall’Iraq e dal Pakistan. Come vede, la Siria diventa un campo di battaglia di forze esterne». 
È urgente aprire dei corridoi umanitari?
«Una pessima idea: implica la presenza di militari stranieri in Siria. Meglio, piuttosto, imporre al regime di levare l’assedio attraverso le pressioni di Russia e Cina, con l’aiuto della Croce rossa e delle ong dell’Onu».
La Tunisia ha offerto asilo ad Assad. Il presidente dovrebbe accettare? 
«Sì: la sua uscita di scena in cambio di migliaia di vite umane e dei danni economici».
A lei hanno proposto l’incarico di premier. Lei è pronto?
«Solo dopo che Assad se ne sarà  andato. Allora si potrà  creare un Congresso che raggruppi l’opposizione e affronti, unito, un interlocutore dello Stato su un progetto per il cambiamento democratico. Però, ora no, non posso trattare la transizione con chi è al potere mentre ci sono 7000 morti».


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