“America indipendente dagli sceicchi” così Obama realizza il sogno di Nixon

by Editore | 24 Marzo 2012 17:52

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SAN francisco – È un sogno o un’utopia che l’America inseguiva da 40 anni: non dipendere più dagli sceicchi arabi per il suo fabbisogno energetico. Ora sta diventando realtà . L’economia più ricca del mondo si scopre meno “energivora”. E soprattutto riduce i suoi acquisti di petrolio dall’estero. Quel flusso di pagamenti che contribuì a finanziare tante guerre in Medio Oriente, e lo stesso terrorismo di Al Qaeda responsabile dell’11 settembre, si sta riducendo di giorno in giorno. In un futuro prossimo, sarà  forse un rigagnolo. Le conseguenze potenziali sono enormi, sugli equilibri ecologici e su quelli geo-strategici: se continua così, l’America non avrà  più bisogno di schierare la Quinta Flotta nel Golfo Persico? La sua Arabia saudita ce l’avrà  in casa. Un traguardo inaudito, che questa nazione inseguiva invano dai tempi del presidente Richard Nixon e del primo shock energetico: la guerra del Kippur (1973).
Per molti americani, parlare di indipendenza energetica suona assurdo, in una stagione in cui la benzina è ai massimi. Il prezzo medio nazionale ha superato 3,85 dollari per gallone, ma qui a San Francisco siamo già  ben oltre i 4 dollari. Poca cosa rispetto ai prezzi italiani, perché la pressione fiscale delle accise è storicamente inferiore negli Stati Uniti; ma per l’automobilista americano sono tempi duri. Non a caso il caro-benzina è uno dei temi favoriti dei candidati repubblicani. La destra accusa Barack Obama di essere un ultrà  dell’ambientalismo, per i suoi divieti contro alcuni progetti di trivellazione. Nella blogosfera di destra c’è perfino chi alimenta una “teoria del complotto”: Obama sta deliberatamente spingendo al rialzo i prezzi dei carburanti fossili, per aiutare i suoi “amici californiani” delle energie rinnovabili.
In realtà  la crescente autonomia energetica degli Stati Uniti non è solo il risultato degli investimenti nella Green Economy. È il frutto di tre tendenze, ben distinte ma convergenti nei loro effetti. Anzitutto, un poderoso aumento della produzione domestica: di petrolio e soprattutto gas naturale, grazie a nuove tecnologie e alla redditività  creata dagli alti prezzi mondiali. Secondo: i notevoli progressi nell’efficienza energetica. Terzo: lo sviluppo delle fonti alternative come eolico e solare. 
È grazie alla combinazione di questi cambiamenti che l’America ha ridotto le sue importazioni di carburanti liquidi dal 60% del 2005 al 45% dell’anno scorso. E questa tendenza si sta accelerando. Il fatto che i prezzi continuino a salire, dipende da altre cause: la tensione con l’Iran, i disordini in diverse zone dell’Africa, la costante ascesa dei consumi in Cina e in tutte le nazioni emergenti. Ma l’America sta diventando un cliente sempre meno dipendente dai produttori delle aree a rischio. La sua quota di importazioni dai paesi Opec è calata del 20% in soli tre anni. Per la prima volta dai tempi del presidente Harry Truman (cioè nell’immediato dopoguerra) gli Stati Uniti tornano ad essere un esportatore netto di derivati del petrolio. 
Le riserve Usa di gas naturale sono traboccanti, al punto che le aziende del settore vogliono esportare gas in Europa e in Asia. La produzione di petrolio dai giacimenti nazionali è balzata da 4,95 milioni di barili al giorno nel 2005 ai 5,7 barili attuali. Alcune proiezioni vedono un’estrazione di 10 milioni di barili al giorno in futuro: un livello che secondo il New York Times metterebbe gli Stati Uniti “nello stesso rango di capacità  dell’Arabia saudita”. Tutto ciò ha anche dei costi per l’ambiente: in alcune aree, dallo Utah al Wyoming, l’aumento dell’estrazione si accompagna a un evidente inquinamento atmosferico. 
Gli ambientalisti contestano anche il ricorso alla tecnica del fracking (pompaggio di acqua e sabbia ad alta pressione per estrarre petrolio e gas dalle rocce) per le sue conseguenze sulle riserve idriche. I repubblicani, al contrario, attaccano Obama per non aver concesso permessi di trivellazione in vaste aree costiere. Lo accusano per il veto federale contro la costruzione di una tratta del grande oleodotto Xl Keystone con il Canada. Nella realtà  questo presidente ha moderato i propositi ambientalisti di quand’era candidato nel 2008. «L’estrazione di gas e petrolio americano è aumentata costantemente sotto la mia presidenza», ha ricordato Obama durante una recente visita nell’Oklahoma, uno degli Stati produttori. «La mia politica è: nulla escluso», ama ripetere il presidente. 
In effetti ha spinto su tutti i tasti. Sfruttando la sua influenza sulle case automobilistiche (due delle quali sono state salvate coi fondi federali: General Motors e Chrysler) Obama ha imposto un notevole miglioramento dell’efficienza: motori che consumano molto meno. L’effetto combinato della recessione e dei nuovi standard anti-inquinamento, ha fatto sì che gli americani comprino meno Suv: dal 18% sono scesi al 7% delle vendite complessive di vetture. La California, che fa da battistrada per le nuove politiche, ha imposto per i mezzi pubblici motori ibridi o a gas naturale. L’impegno di Obama per le rinnovabili non è calato: è appena andato a visitare Copper Mountain Solar 1, la più grande centrale fotovoltaica del paese, che nel Nevada fornisce energia a 17.000 abitazioni. L’occupazione nella Green Economy è cresciuta fino a 3,1 milioni di posti di lavoro, un record storico.

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