by Editore | 11 Marzo 2012 18:23
Autorizzato per cinquantamila persone, il raduno sulla via Novy Arbat ne ha raccolte sì e no diecimila sul grande marciapiede, e sembravano ancor meno visto che il traffico ha continuato a scorrere regolare lì accanto. A frenare la partecipazione hanno contribuito ovviamente le temperature sottozero e il massiccio spiegamento di polizia, che ha blindato con 2500 agenti tutta la zona: ma è chiaro che il freno principale è politico, ed è rappresentato dalla delusione e dal senso di impotenza diffusi tra gli oppositori per non essere riusciti minimamente a influire sull’esito delle presidenziali di domenica scorsa. Si aggiungano le crescenti polemiche fratture interne: ieri i nazionalisti hanno lasciato il luogo del comizio dicendo che «i liberali si sono arresi», mentre la sinistra ha voluto fare un suo corteo e tutti hanno voluto tenere ben in vista le proprie bandiere.
Obama si congratula
Se qualcuno sperava poi nell’aiuto dell’Occidente democratico, le telefonate di congratulazioni ricevute in questi giorni da Putin – ultima quella di Barack Obama, ieri – hanno fatto capire che su quel fronte non c’è margine.
Gli stessi oratori che si sono succeduti numerosi sul palco hanno dato nei loro interventi l’impressione di un relativo disarmo. Anche il più veemente, il leader del fronte di sinistra Sergei Udaltsov, ha usato parole violentissime contro Putin e i suoi («ladri, cialtroni, impostori») ma ha rinviato l’appuntamento decisivo di due mesi, parlando di «una manifestazione di un milione di persone a maggio» – quando Putin si insedierà ufficialmente al Cremlino prendendo il posto di Dmitrij Medvedev. Poi ha rilanciato con la sua parola d’ordine, restare in piazza e non andarsene: come tentato il 5 marzo da alcune centinaia di persone, tutte immediatamente prese dalla polizia e tenute in stato di fermo per alcune ore. La stessa scena si è svolta anche ieri, al termine del comizio, quando Udaltsov con un gruppo di militanti si è avviato verso piazza Pushkin per «occuparla», venendo immediatamente fermato. Idem a San Pietroburgo, dove una piccola manifestazione anti-Putin è finita con la polizia che ha compiuto diversi fermi. A Mosca la protesta si è chiusa al grido di «Libertà per i prigionieri politici», intesi sia come manifestanti finiti dietro le sbarre (anche se pochissimi ci sono rimasti) negli ultimi mesi sia come presunti oppositori di lungo corso, come l’ex oligarca Mikhail Khodorkovskij. La verità è che l’opposizione ha un compito assai difficile: deve trovare una nuova strategia, che non può consistere solo nel concludere ogni manifestazione annunciandone un’altra. Serve un programma comune e obiettivi non solo negativi, mandar via Putin non basta: se ne è accorta e lo ha detto dal palco perfino la «golden girl» Ksenia Sobchak. Servono leader credibili con idee. È vero che anche per Putin il compito è difficile, con la crisi economica del paese che incombe da un lato, la crisi di credibilità sua che pesa dall’altro e la necessità di riformare un po’ tutto (sistema politico, sistema economico, welfare) alla svelta: ma almeno lui il potere ce l’ha, i suoi oppositori no.
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