Precari più Stabili oppure no? i Paletti ai vecchi Contratti

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ROMA — L’obiettivo della riforma, enunciato dal governo, è chiaro: rendere più dinamico il mercato del lavoro per favorire chi parte sfavorito, soprattutto i giovani prime vittime della crisi, e per eliminare via via il precariato. Meno chiaro — perlomeno fino a quando sarà  messo nero su bianco il testo definitivo del provvedimento — è se gli strumenti individuati saranno in grado di raggiungerlo.
In sostanza il governo propone di superare la precarietà  con una diversa articolazione dei contratti di accesso al lavoro che in un primo tempo accentua la flessibilità  dell’occupazione e poi la stabilizza. Il tutto accompagnato da un riordino delle varie tipologie contrattuali, indirizzato ad evitarne l’abuso e l’uso distorto. E da una sorta di preambolo: l’eliminazione degli stage o dei tirocini impropri, svolti quando la formazione, compresi master o dottorati, è terminata. Perché come dice il ministro del Lavoro Elsa Fornero «il lavoro deve essere pagato».
Uno. L’apprendistato, innanzitutto, diventa il canale privilegiato di avviamento al lavoro dei più giovani con la conferma dell’impianto della legge del settembre 2011 a cui vengono apportate alcune correzioni. Il contratto di apprendista può essere offerto, sulla base di tre tipologie, a chi ha tra 15 e 25 (per la qualifica e il diploma professionale) e tra 18 e 29 anni per l’avvio al lavoro vero e proprio e può durare anche 3-5 anni, cioè al massimo fino ai 34 anni. La legge che lascia alla contrattazione collettiva la disciplina nel dettaglio dell’apprendistato non prevede la durata minima che invece la riforma Fornero vuole introdurre, così come richiede una percentuale di stabilizzazione per mantenere la possibilità  di continuare ad assumere in apprendistato. E’ previsto poi l’obbligo del tutor per l’apprendista e la possibilità  per il datore di lavoro di certificare la formazione. Stesse regole per i contratti di inserimento, estendibili a chi ha superato i 29 anni e che viene da un lungo periodo di disoccupazione.
Due. Le maggiori novità  riguardano però i contratti a tempo determinato che vengono in qualche modo scoraggiati attraverso l’aumento, pari all’1,4%, dei contributi che andrà  a finanziare la nuova assicurazione sociale per l’impiego (Aspi). Fatta eccezione per i contratti di sostituzione. Ma c’è di più: tale maggiorazione potrà  essere recuperata in caso di assunzione a tempo indeterminato (premio di stabilizzazione). Se invece il datore di lavoro vuole insistere sull’occupazione a scadenza, avrà  più difficoltà  a fare i rinnovi, perché dovrà  far passare più tempo da un accordo ad un altro, senza contare che saranno anche allungati i tempi per l’impugnazione stragiudiziale del contratto. Resta l’obbligo a non superare i 36 mesi, tre anni di lavoro a termine, se non si vuole far scattare automaticamente il tempo indeterminato. 
Tre. Anche per i contratti a progetto, o i vecchi co.co.co., ci saranno più paletti di prima. Innanzitutto il «progetto» dovrà  avere una definizione più stringente e dettagliata e non potrà  limitarsi a riproporre, come spesso avviene, l’oggetto sociale dell’azienda. E poi se l’attività  del lavoratore a progetto finisce per essere sostanzialmente simile, per orario o per compiti svolti, a quella del dipendente allora scatta la presunzione del carattere subordinato della prestazione. Viene poi eliminata la facoltà  di introdurre clausole individuali che consentano il recesso del datore di lavoro prima della scadenza del termine o comunque del completamento del progetto, anche in mancanza di una giusta causa, fermo l’obbligo di dare comunque il preavviso al collaboratore. Infine viene introdotto un incremento dell’aliquota contributiva prevista a favore della gestione separata dell’Inps, così da proseguire il percorso di avvicinamento alle aliquote previste per il lavoro dipendente.
Quattro. Giro di vite anche alle collaborazioni o consulenze con partita Iva (solo nel 2011 ne sono state aperte ben 535 mila di cui quasi la metà  da parte di giovani) che spesso nascondono veri e propri abusi. Con l’esclusione dei professionisti iscritti ad albi, viene riconosciuto il carattere continuativo e di natura subordinata, non autonoma od occasionale, della collaborazione se si prolunga complessivamente per più di sei mesi nell’arco di un anno, se il collaboratore ricava da essa più del 75% dei suoi compensi (anche se fatturati a più soggetti riconducibili alla medesima attività  imprenditoriale) e se l’attività  è svolta presso l’azienda committente.
Cinque. Per il lavoro intermittente o a chiamata, che negli ultimi tempi ha fatto registrare una forte crescita, ma anche molti abusi, viene previsto l’obbligo di effettuare una comunicazione amministrativa molto snella — basterebbe una telefonata — in occasione di ogni chiamata del lavoro. Stesso obbligo, che secondo i sindacati non è sufficiente a contrastare le distorsioni, per il contratto di lavoro a tempo parziale. La comunicazione in questo caso deve essere contestuale al preavviso da dare al lavoratore di ogni variazione di orario attuata in applicazione di clausole elastiche o flessibili nell’ambito del part-time verticale o misto.
Quanto poi all’associazione in partecipazione, il governo punta di fatto a cancellarla. Propone infatti di limitare a 5 il numero massimo degli associati di lavoro (con capitale o lavoro) così da lasciare operante l’istituto soltanto nelle piccole attività , oppure solo nell’ambito familiare. Ma anche in questo caso l’associazione dovrà  essere ristretta ai legami di primo grado, cioè a genitori e figli.


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