PERCHà‰ DIFENDERE IL PAESAGGIO È UN GESTO ETICO

by Editore | 21 Marzo 2012 6:06

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Osa di più il Codice dei Beni Culturali, che per “paesaggio” intende «parti di territorio i cui caratteri distintivi derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche interrelazioni»; la sua tutela «salvaguarda i valori che esso esprime quali manifestazioni identitarie percepibili». Il legame forte fra paesaggio e valori identitari incarna una tradizione civile e giuridica che risale alla prima legge sul paesaggio, dovuta al ministro Benedetto Croce (1920-22). Eppure si perpetua l’equivoco che chi difende il paesaggio lo fa in base a una concezione estetica (il paesaggio come “veduta”, assimilabile a un quadro). Ma anche nella legge Croce questo aspetto era intimamente congiunto con altri, per esempio la «particolare relazione con la storia civile e letteraria». 
Su questa tradizione si innesta l’art. 9, «il più originale della nostra Costituzione» secondo Carlo Azeglio Ciampi. Per la prima volta nella storia, la tutela del patrimonio artistico e del paesaggio entravano fra i principi fondamentali di uno Stato. Ma le sventure del nostro tempo, la spietata aggressione a un suolo ormai invaso non solo dal cemento ma dalle discariche e dai veleni, impongono una concezione ancor più ampia, anch’essa fondata sulla Costituzione. La Corte Costituzionale, in ineccepibili sentenze, ha letto l’art. 9 in sintonia con l’art. 32, che tutela la salute «come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività ». Paesaggio e ambiente formano dunque un’unità  inscindibile, e su questo punto la Costituzione è anni-luce più avanzata della legislazione ordinaria, che viceversa è orientata dal dissennato divorzio fra le nozioni giuridiche di paesaggio (affidato allo Stato), territorio (affidato alle regioni) e ambiente (di competenza mista). Una ricomposizione normativa, ardua ma necessaria, potrebbe prendere a manifesto una frase di Luigi Einaudi, che punta le sue carte sulla parola “suolo”: «La lotta contro la distruzione del suolo italiano sarà  dura e lunga, forse secolare. Ma è il massimo compito di oggi se si vuole salvare il suolo in cui vivono gli italiani» (Il Corriere della Sera, 15.12.1951).
Dobbiamo ormai partire da una definizione operativa di paesaggio, passando dal paesaggio “estetico” (da guardare) al paesaggio “etico” (da vivere). Il nesso primario fra paesaggio e ambiente, «valore costituzionale primario e assoluto» secondo la Consulta, implica il forte legame fra tutela del paesaggio e tutela della salute, fisica e mentale. In questo quadro assumono nuova pregnanza e urgenza non solo lo spietato consumo di suolo, ma anche la spaventevole perdita di qualità  dell’architettura in Italia e il declino dell’agricoltura, che del suolo è il miglior presidio; anche la trasformazione di uliveti e vigneti in distese di pannelli solari. Dobbiamo cercare anticorpi, come il riciclo delle architetture in disuso, a cui il Maxxi ha dedicato una mostra a cura di Pippo Ciorra, o le altre strategie di gestione virtuosa dei suoli di cui parla Gabriele Salari nel suo L’Italia diversa. Temi non di natura “estetica”, ma legati alla salute, alla qualità  del vivere, alla felicità  e al benessere dei singoli e delle comunità , all’equilibrio economico e alla produttività . Alla radice, il dato essenziale è sempre lo stesso: l’idea di bene comune, la sua priorità  sul profitto dei singoli. La necessità  di operare oggi per il bene delle generazioni future.

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