Palermo, Bersani sotto assedio nel Pd Letta: “Basta con Vendola e Di Pietro”

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ROMA – Quando Pier Luigi Bersani arriva in piazza Monte Citorio per la presentazione del libro su Angelo Vassallo – il sindaco del Pd ucciso a Pollica nel 2010 – è letteralmente assalito da telecamere e microfoni. Il processo al suo partito è cominciato ore prima, dopo l’ennesima sconfitta alle primarie. Con Giuseppe Lumia (il senatore pd che ha sostenuto il vincitore di Palermo, Ferrandelli) che minaccia di chiedere le dimissioni del segretario. Con i veltroniani (Tonini) che invocano la convocazione della direzione. Con Paolo Gentiloni che su Twitter denuncia: «Le ragioni sono locali, a Palermo, Milano, Napoli, Genova. Ma il problema del Pd è nazionale». Con lo stesso vicesegretario, Enrico Letta, che usa l’accaduto per archiviare una volta per tutte l’ormai sbiadita foto di Vasto, l’alleanza che tiene insieme partito democratico, IdV e Sel: «A Palermo i nostri elettori chiedono altro. Rita Borsellino ha fatto l’errore di proporsi in quello schema». Come lui, la pensano Marco Follini e i modem di Veltroni, nell’ormai consueta alleanza di chi vede il futuro del Pd lontano da Vendola e Di Pietro. In linea con il governo di Mario Monti. 
Così, Bersani aspetta di sedersi per rispondere. Non è roba da battute per tg. Spiega che il Pd ha vinto in 18 città  su 23. Che a Palermo, una volta verificati i voti di un risultato comunque al fotofinish, sosterrà  il vincitore. Che le primarie sono un grande strumento di partecipazione, aiutano a vincere le “secondarie”, le elezioni, ma – ed è questo il punto – «non risolvono problemi politici». E quindi – sostiene il segretario – «la politica deve venire prima, decidere ogni volta il se e il come delle primarie, senza darle per scontate». Perché «in tutto il mondo non sono certo un pranzo di gala, ma non possono essere una resa dei conti». Non si può fissare una regola su quanti candidati del Pd debbano partecipare. Bisogna scegliere però. Scegliere prima. 
Accanto a lui c’è Pier Ferdinando Casini, che prova a dargli una mano. «Trentamila persone che vanno a votare in tempi di antipolitica vanno rispettate», dice il leader Udc. E aggiunge: «Penso che a questo Paese serva un’alleanza tra moderati e riformisti. E tengo al rapporto con Bersani perché rappresenta l’anima moderata e riformista della sinistra». 
Accreditamento che non basta a sopire le polemiche. Il governatore siciliano Lombardo manda segnali: «È credibile che 10mila di coloro che hanno votato non fossero persone di centrosinistra». Rita Borsellino annulla la conferenza stampa: «Sono accadute cose strane». Il sospetto – coltivato anche dall’Idv Leoluca Orlando – è che a votare siano andate persone che nulla hanno a che fare con la coalizione: precari, iscritti a cooperative di ex detenuti in cerca di lavoro, elettori del presidente della Regione o del Pid di Saverio Romano. Anche per questo, gira voce che l’ex sindaco stia pensando di candidarsi.
Rosy Bindi chiede di «affinandone» le regole delle primarie. Dall’area Franceschini si mette in evidenza che «non possono votare tutti, altrimenti il rischio di inquinamento è reale. Serve una riforma, subito». A difendere il fortino restano Nicola La Torre, Matteo Orfini, Stefano Fassina: trovano i riferimenti a Vasto pretestuosi, le critiche infondate. La segreteria manda a dire a chi la chiede che la direzione è già  convocata. Sarà  a fine marzo, prima di Pasqua. Lì, ci sarà  tempo e modo di parlare di tutto. Alleanze comprese.


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