Orrore nella città  martire di Homs Il mondo civile non stia a guardare

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Nella terza città  della Siria, la martire Homs, si è consumato ancora una volta un massacro pianificato, come è accaduto un nugolo di volte nel Medio oriente. Un massacro che anche l’agenzia di stampa statale siriana è stata costretta a confermare, seppur attribuendone la responsabilità  agli oppositori ribelli. La ricostruzione, in una regione dove — come scrive Thomas Friedman — più che di notizie ci si nutre di versioni, apparentemente è bifronte. I fatti indubitabili ci dicono che, al termine di un feroce bombardamento nei quartieri sunniti di Karm az-Zeitun e di Adawiy, gli assassini del regime sono penetrati nelle case a caccia di sopravvissuti. E li hanno finiti, offendendo poi i cadaveri nel macabro rito del vilipendio del corpo del nemico: donna o bimbo che sia.
È logico, almeno ragionevole, che questa sia la versione più vicina alla verità . Va detto però che chi ha messo le immagini sul web appartiene alla resistenza, quindi alle forze che vogliono cacciare il dittatore. L’agenzia di stampa del regime ha aggiunto orrore all’orrore, sostenendo che i cadaveri sono stati oltraggiati e martoriati proprio dagli oppositori, per poterne diffondere le immagini-choc sulle tv satellitari arabe più prestigiose, Al-Jazeera e Al-Arabiya, e in tutti i siti, i social network e i blog del pianeta. Tuttavia chi ha avviato la carneficina, che dura ormai da un anno e ha provocato ottomila morti, è il potere centrale guidato da Bashar al Assad, e non è casuale che il sipario sull’orrore della città  martire di Homs sia stato sollevato mentre l’inviato del segretario generale dell’Onu, Ban Ki-Moon, cioè il suo predecessore Kofi Annan, è uscito dal Paese assai turbato, ma determinato a fare l’impossibile per permettere alle missioni umanitarie di soccorrere i civili.
Di Homs, oggi, con l’aiuto di Internet sappiamo molto, sicuramente più di quanto abbiamo saputo su tutte le città  e i quartieri-martiri del passato, anche recente. Il sacrificio di Homs somiglia — al di là  della sproporzione numerica delle vittime — al massacro di Hama, la città  siriana che fu parzialmente rasa al suolo dalle truppe speciali inviate da Hafez al Assad, padre di Bashar, per sedare la rivolta degli oppositori, nel 1982. I morti furono almeno 20.000, ma le immagini di quella strage non esistono, e se esiste qualcosa si tratta di minuscoli frammenti di testimonianze fatte filtrare da qualche eroe della verità , a prezzo della vita.
Il regime siriano se ne intende di massacri. Un campo di profughi palestinesi, Tal al Zaatar, non lontano da Ashrafije, nella Beirut cristiana, fu teatro nel 1976 di una carneficina compiuta dai falangisti libanesi, mentre i soldati siriani, che avevano creato una cintura umana attorno alla baraccopoli, lasciavano fare: 2.000 morti secondo le stime più prudenti, almeno 4.000 secondo calcoli ufficiosi. Se Tal al Zaatar è martire, due volte martiri sono i campi di Sabra e Chatila, alla periferia sud di Beirut. Laggiù, nel 1982, furono gli israeliani del generale Ariel Sharon a voltarsi dall’altra parte e a non impedire che i falangisti maroniti compissero un’altra carneficina. Tre anni dopo, con equilibri politici cambiati, furono gli sciiti libanesi ad assediare i palestinesi di Sabra e Chatila. Musulmani che annientavano altri musulmani. Gli sciiti libanesi, in quell’occasione, agirono per calcoli di potere e per obbedire ai desiderata di Damasco, che a quel tempo era in violenta rotta di collisione con l’Olp di Yasser Arafat.
Non lontano dal Medio oriente, nel cuore dell’ex Jugoslavia che a metà  degli anni Novanta affrontava la fase più atroce della propria disgregazione, i musulmani furono le vittime di quello che alcuni storici riconoscono come genocidio. Gli estremisti serbo-bosniaci di Mladic massacrarono, a Srebrenica, oltre diecimila persone, anche se non tutti i cadaveri furono identificati. Sarajevo, teatro di brutalità  sistematiche, è diventata capitale-simbolo del martirio bosniaco, e la non lontana Srebrenica ci ricorda sempre tragiche scene di orrori aggiuntivi. Il massacro di gente inerme è doppiamente insopportabile. È doveroso e necessario dire basta. Una volta per tutte.


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