by Editore | 27 Marzo 2012 7:39
Barack Obama e Dmitrij Medvedev si incontrano a Seul, a margine dell’annuale vertice internazionale sulla sicurezza nucleare, e constatano che i progressi auspicati nel loro famoso incontro all’inizio dei rispettivi mandati – quello del “reset” – non sono stati poi un granché. Vero che, come ha detto il presidente russo, in carica ancora solo per un mese, il triennio trascorso ha visto i rapporti fra i due paesi «al massimo storico», ma è un massimo ancora basso, senza accordi sul punto più dolente, il progettato sistema antimissile americano in Europa. E con un accordo generale di riduzione degli arsenali strategici che lascia molto a desiderare. Due punti su cui i russi si aspettavano molto da Obama (e forse Obama stesso sperava di potersi spingere oltre) ma che hanno visto in questi anni una immutata rigidità da parte del Congresso Usa, al cui interno la massiccia presenza di falchi oltranzisti fa sì che la Russia continui ad essere vista come un nemico, né più né meno che ai tempi dell’Urss. Per limitarci alla questione più clamorosa, ai limiti dell’assurdo, nonostante le promesse di Obama il Congresso ancora non ha accettato di rimuovere l’emendamento Jackson-Vanik, che dagli anni ’70 limita il commercio di tecnologia americana verso Mosca per «punire» i limiti all’emigrazione degli ebrei russi (limiti scomparsi da più di vent’anni).Non essendo riuscito a fare granché in questo suo primo mandato, Obama non ha potuto far altro che promettere a Medvedev di essere «più flessibile dopo la rielezione» (parole colte in un fuorionda da FoxTv), con l’interlocutore che risponde «Ti capisco. Ne parlerò a Putin». E già , perché a questo punto le carte cambiano non poco: il ritorno di Vladimir Vladimirovic al Cremlino, con una carica di aggressività internazionale in più visto il trend nazionalista che cresce in Russia, significherà molto probabilmente un nuovo cambio di passo della diplomazia, con posizioni più rigide su molti terreni.
Di questo il presidente americano si rende conto: anche se ha incontrato Putin solo una volta, sa benissimo che parlare con lui sarà più complicato (ieri parlando a Medvedev ha detto che «non avrei potuto augurarmi un partner migliore di Dmitrij per le nostre relazioni»). E quindi ha voluto anche lanciare un segnale al presidente entrante, annunciando di voler parlare con Putin della riduzione degli arsenali nucleari, quando lo incontrerà a maggio durante il G8 a Camp David: «Abbiamo più missili e bombe del necessario e possiamo ridurre i nostri arsenali senza mettere in pericolo le nostre difese strategiche», ha detto Obama. Ma difficilmente a maggio il presidente americano sarà in grado di fare proposte nuove, e sui temi vecchi già si sa che non è in vista nessun progresso: non ci sarà un vertice Nato-Russia a lato del summit atlantico che deve varare nuove iniziative di difesa europea legate al controverso «scudo».
Obama a Seul ha dedicato molto tempo e molta attenzione alle questioni che assillano maggiormente gli Usa, in materia di armi nucleari: l’Iran e la Nord Corea (entrambi assenti dal vertice, peraltro). E se sull’Iran il presidente americano non ha trovato sponde disponibili per rilanciare qualche iniziativa, sulla Nord Corea c’è stata un’importante discussione con il presidente cinese Hu Jintao, il quale ha detto di sperare che Washington e Pyonyang tengano aperto il dialogo, mentre per parte sua «la Cina è pronta a mantenere uno stretto coordinamento e comunicazione con le parti». Il giorno prima Obama aveva apertamente rimproverato Pechino di «non fare abbastanza» per impedire le provocazioni dei nordcoreani.
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