Nessuna lacrima potrà  salvarci

by Editore | 27 Marzo 2012 8:33

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Quelle lacrime erano l’espressione di un ruolo sociale e di un compito precisamente individuato, quello del sacerdote che deve sacrificare la vittima perché così vuole il dio, come Abramo si apprestò a sacrificare Isacco. Così deve essere fatto, in un ordine dato e immutabile, che va solo amministrato. Al gestore “neutro” dell’esistente (sacro e intangibile) tocca la crudeltà : e tutt’al più se ha cuore piange, prova dolore, com-patisce – ma agisce egualmente.
Passando dal sacrificio delle pensioni e dei pensionati a quello dell’articolo 18 e dei lavoratori, la Fornero ha rimesso in scena il medesimo copione. Stavolta non con le lacrime – manifestazione muta di una presa d’atto di ciò che va fatto – ma con una dichiarazione che suona come didascalia e chiosa all’immagine piangente, ed enuncia compiutamente il senso della politica nell’era del dominio del capitale finanziario. «Anche noi tecnici abbiamo un cuore, e sentiamo fino in fondo il disagio che pesa sulla vita di tante persone. Non è solo la Cgil ad avere una coscienza rispetto ai lavoratori, agli operai, ai giovani, ai disoccupati». Cuore, coscienza. Termini, usati in questo modo, propri di un lessico caritatevole, “compassionevole” (sarà  contenta la Fornero di essere accostata a Bush?), che entra in gioco proprio per colmare lo scarto abissale con pratiche che negano qualsiasi effettiva solidarietà  sociale. Un enunciato grottesco, certo («sentiamo fino in fondo», dice la Fornero: e quale sarebbe, di grazia, questo punto estremo della sensibilità ? Andare fino in fondo, non vorrebbe dire sentire allora come insostenibile un ruolo che ti vuole nelle vesti del carnefice?). Ma questo enunciato rivela tuttavia quella concezione neutra della politica che hanno i nostri leader (ideologicamente neutra, intendo, dove questa ideologia della neutralità  è l’arma migliore del capitale finanziario). La politica non è per loro altro che una mera “tecnicalità ” di fatto, da risolvere con più o meno cuore, ma quel che va fatto va fatto, come per un medico che deve amputare una gamba se questa è in cancrena. Si nega invece il senso più proprio della politica, quello di essere il risultato di una rappresentanza di interessi materiali che possono o meno essere affermati, “agiti” dalle soggettività  sociali, e così facendo costruiscono lo spazio pubblico. È evidentemente in gioco, qui, uno scardinamento della visione “moderna” della politica intesa come questione di rappresentanza e di diritti, dove le soggettività  sociali sono gli attori coscienti e attivi (l’espressione che ha fatto compiere un salto quantico alla politica moderna è non a caso “coscienza di classe”): nella visione “tecnicale” la coscienza appartiene invece in prima battuta al gestore “neutro” del governo, che ha il monopolio sacerdotale della conoscenza oggettiva del reale e in base a questo può e deve assumere le sue necessarie decisioni – per quanto “dolorose” possano essere. Altra invece è la nozione di oggettività  della politica nel suo senso proprio, un’oggettività  tutt’altro che neutra, che mette al centro il ruolo attivo e cosciente delle soggettività  sociali che si affermano, che si rappresentano, che danno forma ai propri diritti.
Il punto è, ministro Fornero, che gli esseri umani non sono e non saranno mai elementi oggettivi, variabili dipendenti di un grande meccanismo che li trascende, dove in ultima analisi il ruolo dell’Atto puro è giocato dal capitale finanziario nella sua illimitata e non limitabile sovranità  (che rende debitore e dunque colpevole e dunque sacrificabile ogni soggetto).
Non sono il suo cuore né le sue lacrime, ministra Fornero, che potranno salvarci.

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