Nepal, l’ultima frontiera dei maoisti

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SHAKTI KHOR – L'”Accampamento” maoista più grande del Nepal è a quattro ore di auto dalla capitale Katmandu, nel distretto di Chitwan, lo stesso del parco nazionale dove vivono liberi orsi, tigri e rinoceronti. Si chiama Shakti Khor, ed è una delle 27 gabbie recintate in tutto il Paese attorno ai pericolosi guerriglieri ultracomunisti. Qui vivevano da sei anni 3900 ex maobadi del People Liberation Army, parte dell’«esercito di liberazione» di 35mila uomini e donne che hanno sconfitto le truppe del re di tre volte più numerose e oggi governano il Paese, unico Partito maoista al potere nel mondo. 
Da quando i loro capi hanno firmato la pace e consegnato agli ispettori delle Nazioni Unite gli AK47 e i lanciamissili (non tutti) in cambio di milioni di dollari, nel campo sono rimasti solo in 1100. Con la promessa di 10 mila euro a testa (ridotti nella realtà  di oltre il 50 per cento), più di 9000 ex compagni hanno invece già  lasciato nei giorni scorsi gli accampamenti per rifarsi una vita “normale”. Ma è una minoranza consistente – 6500 – quella che aspetta di entrare ufficialmente nei ranghi dell’esercito, l’odiato nemico di un tempo, dove saranno utilizzati solo a scopi civili. Dovrebbe succedere a settimane, se si raggiungerà  un accordo che stenta a prendere forma. Ci sono infatti ancora tre ipotesi da chiarire: la natura della Nuova Costituzione – se sarà  una Costituzione del Popolo a ideali comunisti o un compromesso coi borghesi; la natura del governo – se presidenziale, con un premier o misto – e quella del sistema giudiziario, magari influenzata da sistema dei Tribunali del popolo. 
Facile in questa impasse, dopo secoli di monarchia e feudalesimo, comprendere le paure dei vertici militari formati da ex aristocratici realisti di rimettere in mano un’arma a contadini analfabeti che non hanno rinunciato agli ideali di Mao Tse Tung. Li temono anche se sono i loro leader a governare oggi il Paese sul tetto del mondo, anzi proprio a causa di questo. Maobadi e soldati del Re oggi deposto si sono combattuti dieci anni in una guerra feroce, conclusa con 13477 morti, decine di città  e villaggi distrutti, un’intera economia un tempo fiorente di turismo e commercio in ginocchio, atrocità  da entrambi i fronti. Per paradossale che possa apparire, ora che c’è la pace e il comunismo è al potere, sono i soldi, più che l’ideologia, a dividere il Partito fondato e guidato dal leggendario Prachanda, costretto a dimettersi da premier ma pur sempre a capo del potente Comitato centrale. È lui di fatto il controllore del governo affidato al suo numero due Baburam Bhattarai, ed entrambi hanno accumulato enormi ricchezze trasformandosi – secondo molti dei loro stessi compagni – da guerriglieri in despoti. 
«Non abbiamo fatto una rivoluzione per avere un altro re», minaccia Hom Bahadur, uno degli ex maobadi dell'”Esercito di Liberazione” che hanno accettato di prendere una manciata di soldi per appendere al chiodo le armi. Ci racconta che poche ore prima del nostro arrivo a Shakti Khor, era stato costretto a fuggire dall’accampamento assieme a un gruppo di ex compagni per non incorrere nelle vendette dei loro capi di partito e comandanti di divisione. Hom e gli altri li avevano accusati il giorno prima di aver preso milioni di rupie destinati a loro, alla base dei militanti che hanno combattuto e sacrificato la vita per l’ideale comunista. 
Li incontriamo a gruppetti fuori dal recinto della loro ex colonia di “decongestione” post guerriglia, ancora muscolosi e forti per l’esercizio quotidiano e la giovane età . Qualcuno ha i figli in braccio, la moglie ex combattente di fianco, altri arano il campo comprato coi soldi della “pensione”. Ma a pochi chilometri da qui, lungo le principali strade che portano da Est a Ovest, le immagini sono meno bucoliche e mostrano centinaia di ex combattenti lasciati fuori dai benefici che bloccano gli incroci per chiedere altre compensazioni. Sono i militanti dell’ultima ora, gli ex bambini soldato arruolati più o meno forzatamente nelle file dei maobadi, o i quadri politici della Lega giovanile maoista protagonisti della capitolazione di Kathmandu e di altre città  importanti del Regno. 
«Smantelliamo il PLA per andare a pulire gli stivali dei nostri ex nemici», gridano in coro. «Noi siamo stati addestrati per combattere. Se vogliono la pace, devono dare dignità  a tutti gli ex combattenti…». Ai fuoriusciti di Shakti Khor chiediamo se qualcuno pensa di tornare nella giungla. Scherzano, dicono che ormai si sono «rammolliti». Ma Hom non nasconde che combatterebbe ancora, eccome, se solo ci fosse un progetto, una idea per cambiare «quello che non è per niente cambiato in questi 6 anni coi nostri compagni maoisti al potere». Non passa giorno nella inquinata e dilapidata Kathmandu senza uno sciopero, una protesta, una manifestazione. Da mesi non si trovano quasi più le bombole del gas da cucina con le quali fanno da mangiare tutte le famiglie nepalesi, una cosa mai successa nemmeno durante la guerra. Anche i prezzi della benzina salgono di giorno in giorno. Solo dentro al recinto del campo maoista di Shakti Khor dove gli ex combattenti aspettano la chiamata per l’esercito, si respira un’aria di sereno ottimismo.


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