Nel carcere dei marò sotto accusa “Ci trattano bene, ma qui è dura”

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TRIVANDRUM – Il carcere centrale di Trivandrum, la verde capitale del Kerala, è il forte ampio e grigio che gli inglesi costruirono nel 1886. Oltre il cancello c’è un grande parco, dentro il parco di 100 acri una strada sale tra gli alberi, sembra uno dei tanti giardini di questa città  di colline che il Mahatma Gandhi chiamava «il cuore verde dell’India». Dopo qualche curva, nel verde inizia a scorrere un lungo muraglione sporco, sgretolato dal sole e dalle piogge dei monsoni. Alla fine del muraglione c’è un portone di legno. Sopra il grande portone un’iscrizione: nel 1886 Rama Vurda era il maraja che non si era sottomesso agli inglesi, ma accettava la loro presenza e il loro patrocinio. Loro gli costruirono anche questo carcere, quello che oggi imprigiona Salvatore Girone e Massimiliano Latorre. 
Entriamo con altri tre giornalisti italiani, vorremmo incontrare Alexander Jacob, il direttore generale delle carceri del Kerala, l’uomo che nella notte fra lunedì e martedì quasi è arrivato allo scontro fisico con gli italiani guidati da Staffan De Mistura. Lui non c’è, alla sua poltrona in un ufficio semidiroccato comanda il “jailor” A. G. Sureshi, che dovrebbe essere il direttore di questo carcere, il “jail”. Pochi minuti e dopo aver firmato una richiesta, Sureshi ci stupisce: «Volete vedere gli italiani? Un attimo, ve li porto, vedrete che vengono trattati bene». È così che in quest’anticamera afosa e polverosa all’improvviso compaiono i due marò italiani. «Siete i giornalisti, ci siamo visti in tribunale… ma il sottosegretario De Mistura, i nostri comandanti sanno che siete venuti qui?». I giornalisti, ancora increduli della concessione del jailor indiano, sembrano più intimiditi e paralizzati dei marò. Girone e Latorre mantengono il controllo, la loro postura da marò. Ma sono stanchi, tesi. Preoccupati, per un attimo irritati. Chiariamo subito che vogliamo evitare discorsi che possano aggravare lo scontro fra i due governi. E allora parla Latorre: «Sgombriamo il terreno da possibili equivoci legati a quello che sappiamo dalla stampa: quello che fa per noi il sottosegretario, che fanno i nostri comandanti assieme al governo è incredibile e lo capiamo benissimo. Qui dentro come stiamo? Ci trattano bene», non dicono di più. «Scusate se siamo stati un po’ bruschi – aggiunge al momento di congedarsi – ma cercate di capirci, è un’esperienza difficile».
Dal portone centenario avevamo appena visto uscire una lunga fila di detenuti indiani: i carcerati non hanno vestiti o divisa, solo il lungo telo che funge da gonna-pantalone avvolto ai fianchi, sotto braccio una stuoia, qualcuno un materassino. Questa è la dotazione dei carcerati indiani. A Girone e Latorre sono state lasciate le divise, sono rinchiusi in una cella in una piccola casetta, con un cortile. De Mistura dice che hanno la doccia, ma non è così. «La doccia la farete domani», dice il jailor sorridendo. Gli altri carcerati si lavano tutti quanti a turno dentro un grande vascone pieno d’acqua. 
Rientrati in albergo incontriamo per il sottosegretario agli Esteri. Nelle 3 o 4 ore di trattativa per impedire il carcere “duro” ai marò più volte i poliziotti si erano preparati a intervenire con la forza, erano entrati a decine nell’anticamera del jailor. «Jacob aveva già  chiesto ai 2 marò di togliere la divisa», dice il sottosegretario, «io ho detto che dovevano obbedire ai miei ordini, gli ho detto di mettersi dietro di noi e ho detto a Jacob che gli ordini del mio governo erano che due soldati italiani non dovevano andare in carcere». De Mistura non insiste sui particolare di uno scontro durato fino alle 3 del mattino, racconta solo i dettagli del compromesso con cui per ora l’Italia è stata accontentata, la casetta all’interno del carcere, il cortile, la possibilità  di usare il telefono del carcere e di vedere il console. 
Il problema è che adesso la tabella di marcia studiata a Roma dalla Farnesina è saltata: «Dobbiamo internazionalizzare lo scontro», dice ora De Mistura, «perché questo non è un problema consolare come ha detto la Ashton, questo è un grosso problema per l’Italia ma anche per la comunità  internazionale». Per la prima volta De Mistura parla di quello che crede essere diventato l’ostacolo principale a un accordo ragionevole con l’India sui 2 marò, la politica locale del Kerala. «Non possiamo lasciare i nostri due soldati in balia dei calcoli elettorali del Kerala, dove fra qualche giorno si vota per eleggere un deputato dello Stato locale: i rapporti tra Italia e India sono storici e torneranno ad essere ottimi a condizione che vengano rispettati i nostri militari». Ogni giorno è sempre più difficile.


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