by Editore | 24 Marzo 2012 19:51
La sintesi può risultare schematica e provocatoria, ma in buona sostanza corrisponde alla “querelle” in corso sulla proprietà intellettuale fra gli strenui difensori del diritto d’autore e i paladini più libertari della Rete.
Nell’affollata audizione di Corrado Calabrò – presidente dell’Autorità di garanzia sulle Comunicazioni – che s’è tenuta nei giorni scorsi davanti alle competenti Commissioni del Senato, la questione ha riprodotto la consueta contrapposizione fra destra e sinistra, secondo il più classico copione del teatrino politico italiano. La destra che difende a spada tratta la proprietà privata; la sinistra, divisa al suo interno, che da una parte rivendica la libertà assoluta per il popolo della Rete, dall’altra invita prudentemente a rinviare una decisione sulla materia e dall’altra ancora invoca la “cultura delle regole”.
È un fatto che in Italia il dibattito ha, purtroppo, un vizio d’origine: il decreto con cui l’ex ministro Romani, in piena era berlusconiana, pretendeva autoritariamente di difendere le opere audiovisive, cioè proprio quelle prodotte – vedi caso – dalla Rai e da Mediaset. Ma ciò non toglie che il problema esiste per tutti i prodotti intellettuali. E forse, oltre agli editori, farebbero bene a occuparsene più attentamente anche i giornalisti, se non altro per difendere il proprio lavoro e quindi la loro stessa sopravvivenza professionale.
Nel libro menzionato qui sopra, due economisti americani che insegnano entrambi alla Washington University di St. Louis, i professori Michele Boldrin e David K. Levine, enunciano fin dal titolo una tesi radicale: “Abolire la proprietà intellettuale”. Anzi, in copertina, la parola “proprietà ” è cassata con un segno rosso. A loro parere, come si legge nel sommario, “copyright e brevetti costituiscono un male inutile perché non generano maggiore innovazione ma solo ostacoli alla diffusione di nuove idee”. Ma c’è evidentemente una differenza sostanziale fra le idee e i brevetti chimici o farmaceutici, per i quali si potrebbe postulare il diritto universale alla salute e il discorso sarebbe di conseguenza diverso.
Gli autori del libro, come emerge dalla citazione iniziale, non sono due rivoluzionari. La loro tesi si fonda in sostanza sulla distinzione tra l’idea originaria e le sue copie: cioè fra diritti di proprietà degli innovatori e quelli – diciamo così – dei replicanti. “Il primo tipo di diritti – a loro giudizio – incoraggia l’innovazione, mentre il secondo incoraggia la diffusione, l’adozione e il miglioramento delle innovazioni”.
Già , ma chi “ha ottenuto legittimamente una copia dell’idea originaria” – per seguire e contraddire il ragionamento di Boldrin e Levine – l’ha ottenuta per recepirla o assimilarla, per trarne un beneficio individuale e intellettuale; non per riprodurla e diffonderla all’infinito, magari sfruttandola anche a fini commerciali. Per arricchirsi insomma sul piano intellettuale, non su quello economico. Questo è il punto fondamentale. E il criterio si applica alle fotocopie dei libri – non a caso vietate nelle copisterie o nelle cartolerie – come ai contenuti che vengono “copiati” e divulgati in Rete, da parte di singoli blogger, siti o motori di ricerca.
Prossimo ormai alla scadenza del suo mandato, il presidente Calabrò ha tenuto al Senato una linea di equilibrio e di cautela, senza rinunciare tuttavia a difendere i principi a cui s’ispira la legislazione europea né l’iniziativa della sua Authority che ha consultato complessivamente 55 soggetti in 36 audizioni. «Internet – ha osservato fra l’altro il Garante delle Comunicazioni – è un fenomenale motore di crescita sociale ed economica. La velocità di circolazione delle idee e delle informazioni è alla base di una società aperta fondata sulle comunicazioni digitali. Ma il fenomeno della pirateria rischia di danneggiare gravemente il settore delle attività creative e quello delle tecnologie della comunicazione proprio nel momento in cui il digitale offre nuove potenzialità ».
Spetta ora al governo varare una norma di legge per definire la competenza e i poteri dell’Authority in materia di copyright, senza soffocare o mortificare la libertà della Rete. La democrazia, sia politica sia economica, si fonda sulle regole e sul loro rispetto. E ciò vale anche per il pluralismo dell’informazione. Ma, a sua volta, l’informazione – scritta o elettronica che sia – non può sottrarsi al principio di responsabilità , con tutte le declinazioni e gli adattamenti del caso. Sono questi i capisaldi su cui deve imperniarsi qualsiasi intervento, legislativo o amministrativo, per disciplinare la proprietà intellettuale e tutelare il diritto d’autore su Internet.
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