Murdoch, lo scandalo arriva anche in Australia
LONDRA – È cominciato tutto in Australia. Finirà tutto nello stesso posto? Un nuovo scandalo colpisce l’impero dei media di Rupert Murdoch, e in un certo senso lo colpisce al cuore perché scoppia “Down Under”, là sotto, come con autoironia gli australiani chiamano il proprio paese, che di Murdoch è la patria d’origine oltre che il trampolino da cui è partito, nei lontani anni Sessanta, alla conquista di giornali e tivù in mezzo mondo.
Ed è uno scandalo di gravità inaudita, se le accuse riportate da un giornale di Sidney e riprese ieri con grande evidenza in prima pagina dal Financial Times a Londra, saranno confermate. Si tratta di pirateria informatica: un complotto che il gruppo Murdoch avrebbe portato avanti a colpi di hacker, per scardinare le difese delle tivù rivali australiane.
L’abbonamento alle pay-tv prevede una carta digitale che dà accesso ai canali per i quali si è pagato: ma se qualcuno escogita il trucco per ricevere quel canale senza pagare, la tivù non guadagna più un soldo. Di questo è accusato Rupert Murdoch: 14 mila email provenienti dal computer dell’ex-capo della sicurezza di Nds, una società che all’epoca apparteneva al suo gruppo (è stata venduta, guarda caso, pochi giorni fa), dimostrerebbero che il magnate impiegò degli hacker per sabotare la concorrenza.
È la stessa accusa esplosa nei suoi confronti questa settimana in Gran Bretagna, dove uno scoop di Panorama, il settimanale televisivo d’inchiesta della Bbc, sostiene che Murdoch ha usato dei pirati informatici per violare e rendere pubblici i codici delle smart card di Ondigital, piattaforma pay-tv di Itv, la più grande rete televisiva privata britannica. Per effetto di questo imbroglio, afferma la Bbc, nel 2002 Ondigital è fallita lasciando il mercato delle pay-tv del Regno Unito in mano a Sky, il network di Murdoch (al 40 per cento).
Il tycoon veramente sperava di comprarselo tutto, ma ciò non sembra più possibile dopo le rivelazioni del Tabloidgate, lo scandalo su intercettazioni illecite e corruzione di poliziotti commesse dai suoi giornali in Inghilterra. Un caso che ha causato arresti, dimissioni, la chiusura di un giornale, e non si è ancora concluso, ma il peggio per Murdoch potrebbe ancora venire. Le email saltate ora fuori in Australia, scrive infatti il Financial Times, gettano ulteriore luce sulle dispute commerciali tra il gruppo Murdoch e pay-tv rivali in Gran Bretagna, in Europa, in Asia e negli Stati Uniti. L’Australian Financial Review, il giornale autore delle rivelazioni, parla di milioni di dollari di danni provocati alla concorrenza e svela l’esistenza di una unità top secret chiamata “Sicurezza operativa”, guidata da un ex-capo di Scotland Yard e un ex-vicedirettore dello Shin Beth, il controspionaggio israeliano, entrambi alle dipendenze di Murdoch. «Sono accuse serie», commenta Susan Brady, portavoce del ministero delle comunicazioni australiano, «se ne occuperà la nostra polizia federale».
Il gruppo Murdoch nega tutto, definendo “ridicola” la nuova tempesta abbattutasi sull’editore: «Sono affermazioni prive di fondamento, già archiviate in passato dai tribunali, piene di imprecisioni fattuali e conclusioni fantasiose». Ma il fatto che un’accusa di pirateria ai danni della concorrenza in Inghilterra sia seguita da una identica in Australia sembra come minimo una coincidenza sospetta, tale da poter mettere in moto indagini su Murdoch anche negli Usa, oggi il nodo più importante del suo impero.
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Lasciatelo là ?
C’è la morte nel titolo di prima pagina del quotidiano Libero, di domenica 17 aprile: “Lasciatelo là ”. La morte dentro. Non perché si riferisce a Vittorio Arrigoni ucciso a Gaza. Non perché parla del ritorno della salma in Italia, senza passare da Israele, dove Vittorio da vivo, era considerato “persona indesiderata”. No, la morte è dentro a questo titolo agghiacciante, senza vergogna, senza pietà , senza pudore, neanche davanti a un cadavere.