by Editore | 17 Marzo 2012 14:13
ROMA — Una riforma che piace poco a Susanna Camusso e a Emma Marcegaglia. Il compromesso che il governo sta faticosamente cercando sulla riforma dell’articolo 18 comincia a prendere forma, trovando il consenso dei partiti che sostengono la maggioranza e le critiche delle forze sociali. Un cambiamento che va verso il modello tedesco, lasciando l’obbligo di riassunzione solo per i licenziamenti discriminatori. Il premier Mario Monti definisce la riforma «un tema cruciale e una priorità ». Il ministro del Lavoro Elsa Fornero lavora per un’intesa che ritiene «imprescindibile». E che potrebbe fare un passo avanti decisivo proprio questa mattina, a Milano, dove a margine del convegno di Confindustria si terrà un incontro tra il governo (presenti il premier e i ministri Elsa Fornero e Corrado Passera) e le parti sociali (presenti i leader di Cgil, Cisl e Uil, nonché la presidente degli industriali).
Per la riforma del mercato del lavoro, per la prima volta, il provvedimento non dovrebbe essere un decreto legge, ma un disegno di legge governativo o una legge delega. Un segnale, quello di non ricorrere alla decretazione d’urgenza, di rispetto per il lavoro dei partiti in Parlamento. Anche per questo, a Palazzo Chigi, il premier Monti avrebbe avvertito i ministri: «Siamo a un passo dal chiudere l’accordo, vi raccomando di non dare alibi a nessuno con dichiarazioni avventate sul tema».
I più entusiasti della direzione che sta prendendo la riforma sono i dirigenti del Pdl. Il segretario Angelino Alfano rivendica la primogenitura: «Mi pare che si vada avanti verso la flessibilità . Noi abbiamo un po’ di recriminazioni: dieci anni fa lo stavamo facendo noi e sono state portate in piazza un milione di persone. In questo modo l’Italia ha perso dieci anni». Sulla stessa linea l’ex ministro Renato Brunetta, entusiasta del «primo grande risultato»: «Si è rotto il tabù dell’articolo 18. Ora si tratta solo di non perdere questa grande opportunità , ma di fare una riforma dell’articolo 18 in chiave totalmente europea».
Più cauto, sull’altro fronte, Pier Luigi Bersani: «Credo che ci possa essere una soluzione che preserva i suoi pilastri e li rende meglio applicabili». Nello specifico, in un’intervista a Youdem, il segretario del Pd spiega che sarebbe favorevole a una soluzione «simile» a quella tedesca: «L’Italia è il secondo paese esportatore d’Europa, come la Germania. Assomiglia a un’Europa continentale manifatturiera di grande cultura industriale. Quindi anche i sistemi regolativi di questa area devono a poco a poco assomigliarsi di più».
Ben più negative le risposte dei sindacati, a cominciare dalla Cgil. Susanna Camusso spiega che «le proposte sentite fino a ora sull’articolo 18 non ci convincono e non vanno bene. Credo che ci sia ancora della strada da fare e martedì dal governo ci aspettiamo delle risposte». «Per noi — ha aggiunto la Camusso — l’articolo 18 è una tutela generale. Ha una funzione di deterrenza rispetto all’arbitrio dei licenziamenti. La discussione deve partire dal salvaguardare questo principio. Siccome sentiamo che i licenziamenti disciplinari non rientrano in questa casistica, noi siamo convinti del contrario. Questi licenziamenti nascono quasi sempre da processi di mobbing».
Deciso a mediare è il leader della Cisl, Raffaele Bonanni: «Non c’è né entusiasmo né scoramento. Molti strappano da una parte o dall’altra. Più che un accordo cercano protagonismi. Ma non si può più continuare così in un Paese lacerato tra problemi economici e occupazione».
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