by Editore | 10 Marzo 2012 16:54
Non sarà facile per l’inviato speciale dell’Onu, il ghanese Kofi Annan riuscire a porre le basi di una soluzione politica per la crisi siriana.
Al suo arrivo oggi a Damasco, Annan, che ha guidato per due mandati consecutivi da segretario generale le Nazioni unite, troverà un regime che da un lato lo accoglierà con calore (gli ha già dato ufficialmente «il benvenuto») e dall’altro resisterà all’idea di accelerare una transizione, ormai inevitabile, che porti a riforme concrete e alla fine del dominio politico del partito Baath del presidente Bashar Assad.
Più di tutto l’inviato dell’Onu dovrà fare i conti con quella parte dell’opposizione, in particolare il Consiglio nazionale siriano (Cns), che non crede più in soluzioni politiche e chiede con insistenza un intervento militare contro Damasco, simile a quello della Nato contro la Libia di Muammar Gheddafi. Giovedì Annan aveva invitato «l’opposizione a collaborare per trovare una soluzione che risponda alle aspirazioni del popolo siriano» e avvertito che una maggiore militarizzazione del conflitto aggraverebbe ulteriormente la situazione. «Chiederò al governo e alle opposizioni di lavorare insieme a noi per una soluzione che rifletta le aspirazioni del popolo siriano», aveva detto Annan, riflettendo l’opinione di tanti, specialmente in Siria, che guardano ad una via d’uscita politica.
Peraltro una parte dell’opposizione, quella rappresentata da Haytham al Manna, leader del Comitato di coordinamento per il cambiamento democratico, si oppone ad un intervento armato internazionale e pur condannando Assad e il suo regime, è favorevole allo sbocco politico.
Le parole di Annan sono accolte con rabbia dai disertori dell’«Esercito libero siriano» (Els) che combattono contro l’esercito regolare e dal leader del Cns Burhan Ghalion. Cns e l’Els ieri hanno esortato la popolazione a protestare contro Annan. «Come si può avviare il dialogo con un regime che uccide le nostre donne e i nostri bambini?», ha detto Omar Homsi, un’attivista di Homs citato dalle agenzie di stampa. I Comitati di coordinamento locale (Ccl), vicini al Cns e all’Els, ieri hanno riferito di un’altra quarantina di morti, tra i quali quattro bambini e due donne. Morti che, sottolineano i Ccl, si aggiungono agli oltre settemila vittime della repressione del regime nel corso dell’anno di durata (finora) della rivolta. Il governo invece parla di almeno duemila soldati e poliziotti uccisi da «terroristi». Bilanci di morti e feriti, riferiti da opposizione e regime, che però non sono verificabili attraverso fonti indipendenti.
Nel frattempo viene minimizzato l’impatto che ha nella crisi siriana la militarizzazione della sollevazione contro il regime di Assad in atto in alcune aree del paese. Il quotidiano saudita, al Sharq al Awsat, vicino, come la monarchia di Riyadh, ai disertori dell’Esl, ieri ha riferito che non meglio identificate tribù siriane hanno formato 24 brigate armate per combattere l’esercito regolare. Secondo un portavoce delle tribù, Khaled al-Khalaf, ogni brigata conta tra i 700 e i 1.500 combattenti e si coordina con l’Els. Khalaf ha aggiunto che le brigate si stanno dispiegando nelle regioni di Damasco, Deir Ezzor, Homs, Abu Kamal, Hama, Deraa e Idbil, grazie anche al sostegno economico della gente di quelle zone. Ma è probabile che ricevano armi e finanziamenti dall’estero. E’ noto il sostegno dei sunniti libanesi alla rivolta contro il regime alawita di Assad e dei Fratelli musulmani giordani ai loro compagni in Siria. Mentre Qatar e Arabia saudita sono apertamente a favore dei rifornimenti di armi per l’Esl.
Intanto le autorità siriane, forse come gesto distensivo prima dell’arrivo di Kofi Annan, hanno dato un via libera preliminare all’avvio di una missione congiunta di valutazione con le Nazioni Unite per garantire aiuti umanitari alla popolazione civile. «Siamo giunti ad un accordo per una missione congiunta di valutazione nelle zone in cui la popolazione ha bisogno di aiuti urgenti», ha annunciato ieri la responsabile delle operazioni umanitarie dell’Onu, Valerie Amos, in una conferenza stampa tenuta ad Ankara, di ritorno dalla sua prima visita in Siria (visita in un primo tempo rifiutata dal regime che non le concedeva il visto d’entrata). L’iniziativa costituirà un «primo passo», ha proseguito Amos sottolineando la necessità di mettere in atto «un piano robusto e regolare per permettere alle organizzazioni umanitarie di accedere» a tutte le zone interessate dai combattimenti.
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