Militari in armi su navi civili: un’ambiguità tutta italiana
L’Italia, ovvero l’unico Paese che ha «imbarcato» sui mercantili. Il caso della petroliera Enrica Lexie e l’arresto dei due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, accusati dalle autorità di New Delhi di aver ucciso il 15 febbraio scorso due pescatori indiani scambiandoli per pirati, ha scatenato perplessità sull’esigenza del Governo d’imbarcare squadre militari a bordo dei diversi mercantili italiani che navigano acque internazionali.
Fino allo scorso anno nessuna nave battente bandiera italiana poteva usufruire di task foce armate a bordo. La legislazione è cambiata con il decreto legge 107 del luglio 2011, definitivamente approvato con la legge 130 del 2 agosto dello stesso anno.
Il Dl è diventato operativo solo in seguito alla firma di un protocollo d’intesa tra il ministero della Difesa, allora guidato da Ignazio La Russa, e Confitarma, la Confederazione italiana armatori, ovvero la principale associazione di categoria dell’industria italiana della navigazione che raggruppa le imprese e gruppi armatoriali italiani presenti nel settore del trasporto merci e passeggeri, delle crociere e dei servizi ausiliari del traffico. Questi team iper-specializzati a bordo delle nostre imbarcazioni sono i cosiddetti Nuclei operativi di protezione (Nmp), tutti composti da membri del Reggimento San Marco, l’unità di fanteria in forza alla Marina militare italiana. Gli armatori, per usufruirne, sono tenuti a pagare circa 500 euro al giorno per ciuascun soldato, cioè 3 mila euro per ogni nucleo, per un periodo di impiego operativo di 10-15 giorni.
In molti altri Paesi dell’Unione europea, tuttavia, a bordo delle imbarcazioni vigila personale di sicurezza privato e non militari addestrati specificatamente per svolgere compiti di sicurezza in mare. In Germania ad esempio la richiesta di team per la sicurezza a bordo di navi non è mai stata approvata dal flag state che si applica alle imbarcazioni battenti bandiera tedesca. Ma l’adozione di personale da parte dei mercantili non è vietato né dalle leggi generali, né dal codice penale. Ogni armatore può quindi decidere autonomamente, salvo l’utilizzo di armi da fuoco automatiche, bandito da Berlino. In Spagna la disciplina è pressoché analoga, regolata dal decreto reale 1628/2009 sulla sicurezza privata e le armi. I servizi però possono essere forniti solo da società spagnole, registrate presso il ministero degli Interni e con particolari autorizzazioni. Nel Regno Unito, infine, non sono previste restrizioni o regolamenti in materia di sicurezza a bordo delle navi. L’orientamento legale del governo britannico indica che il carico di armi sulle navi inglesi sia sottoposto alle regole della legislazione interna.
«È l’idea alla base del decreto missioni nel giugno 2011, che prevedeva la possibilità che navi mercantili italiane reclutassero militari italiani con funzioni di sicurezza privata antipirateria, che si è rivelata ingenua, un po’ velleitaria, sicuramente sbagliata». A sostenerlo è Lorenzo Forcieri, ex sottosegretario alla difesa nell’ultimo governo Prodi. Quindi, spiega Forcieri, «se i due marò italiani si trovano in stato di arresto nelle mani delle autorità indiane, la colpa non può essere attribuita al governo Monti e alla nostra diplomazia». Secondo Forcieri, «non è possibile garantire la sicurezza dei traffici marittimi imbarcando militari in servizio sui mercantili italiani», perché «in questo modo essi devono assoggettarsi alle decisioni di un comandante civile, si ritrovano equiparati al rango di “contractors” e, di fatto, costretti a dipendere da una catena di comando inadatta ad affrontare la complessità degli scenari giuridici e politici internazionali». «La presenza di militari sui mercantili si è rivelata sbagliata e pericolosa per loro e per l’Italia conclude Forcieri perchè è una soluzione ibrida ed ambigua che ha esposto il paese alle conseguenze di una grave crisi diplomatica».
«Quando si è scritta la legge rimarca il generale Fabio Mini, ex Capo di stato maggiore delle forze Nato nel Sud Europa, già comandante della missione Nato-Kfor nel Kosovo si è parlato di responsabilità dei team solo nel caso di un attacco pirata. Ma c’è un’ambiguità profonda. Il comandante della nave svolge i compiti anche di polizia giudiziaria sia in acque internazionali che in acque territoriali di altri paesi o dell’Italia. Quindi si possono creare dei conflitti come credo sia avvenuto anche in questo caso, prendendo la decisione di attraccare al porto di Kochi in India».
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