Migliaia in piazza, Orbà n spacca l’Ungheria
BUDAPEST – Ha stravinto Viktor Orbà n, ha trionfato la sua maggioranza nazionalconservatrice al potere. Nel giorno della festa nazionale ungherese, i blocchi politici nella società spaccata si sono contati in piazza. E il governo ha raccolto molti più dimostranti sia rispetto alle opposizioni democratiche (sinistra), sia rispetto ai neonazisti di Jobbik con tutti i loro camerati amici europei, gli italiani di Forza nuova in testa. Dopo questo 15 marzo, il premier autocratico magiaro, nonostante lo sfacelo di economia e conti pubblici, va rafforzato al difficile confronto con l’Unione europea su debito, richieste di crediti, scontro sulle leggi liberticide. Ha esaltato la folla con dure parole d’orgoglio: non vogliamo essere una colonia oggi, come non lo volemmo nel 1848 contro l’Austria o nel 1956 contro l’Urss, non ci faremo dettare le nostre leggi dagli stranieri.
Mai come ieri, la splendida capitale ungherese ha visto nel suo centro la divisione del paese. Manifestazioni ufficiali, corteo della sinistra, raduno neonazi. A poche centinaia di metri l’uno dall’altro. La polizia in allarme rosso, migliaia di agenti gentilissimi ma in tenuta antisommossa blindata più che ad Atene, ha evitato in extremis violenze e sangue. Fatti i conti, Orbà n ha portato in piazza da 200 a 250mila persone al suo discorso a Kossuth Tér, davanti all’enorme, neogotico Parlamento. Più decine di migliaia in più sull’altra riva del Danubio alla festa delle famiglie. Milla, la Ong democratica ombrello delle opposizioni di sinistra, non ha raccolto più di centomila persone dal ponte Elisabetta al Kìskoerut, l’asburgico boulevard interno. Jobbik, i neonazisti con le uniformi nere, e le scritte in rune paleomagiare sulle divise, hanno radunato qualche migliaio di esaltati a Deak tér.
Piazza Kossuth, piazza Deak, ponte Elisabetta: solo tre stazioni di métro separavano i tre appuntamenti in cui l’Ungheria si è contata. Qualche poliziotto in meno, elmetti e manganelli meno visibili, e sarebbe finita male. Ma Orbà n ha parlato da populista abile, e raccolto il suo maggior successo dopo la vittoria alle elezioni del 2010. «Il ‘48 ce lo insegna, gli ungheresi non saranno mai colonia, non tradiranno mai l’indipendenza, né la Costituzione finalmente varata». Cioè la Costituzione criticata a Bruxelles come autoritaria. Stessa durezza contro le accuse Ue alle leggi liberticide su stampa e magistratura o sull’occupazione della pubblica amministrazione. «Noi decidiamo cosa conta per noi, al battito dei nostri cuori ungheresi, non lasciatevi fuorviare se la stampa internazionale scriverà che davanti a me c’erano poche centinaia di persone e tutte contro il governo».
Toni spavaldi, e non è finita. «Noi scriviamo la Costituzione, non abbiamo bisogno di aiuto non richiesto di stranieri che vogliono guidarci. Abbiamo già assaggiato l’assistenza fraterna, con uniformi o con abiti tagliati su misura». Paragone tra l’occupazione sovietica e le direttive dell’Unione europea. E ancora: i burocrati europei ci guardano oggi con sospetto, come fummo guardati con sospetto nel 1848, o nel 1956 con la rivolta contro i russi. «Non furono i vassalli a distruggere il feudalesimo, né segretari di partito a distruggere il comunismo, né gli speculatori verranno fermati da burocrati». Sfida aperta alla Ue, dunque. Cui l’opposizione ha dato una risposta debole. Richieste d’aiuto del resto d’Europa contro la svolta autoritaria, denunce della debolezza di Bruxelles contro le leggi liberticide, erano gli slogan al suo comizio. «Mai come oggi il nazionalismo è stato forte, per il mio paese è un giorno triste», ha commentato amaro Gaspar Miklos Tamas, capo storico del dissenso. Poco lontano da casa sua, i dimostranti di Jobbik urlavano di «volontà eterna di austriaci, russi, Ue di sterminare la nazione ungherese», e gridavano «sporchi ebrei, viva Hitler».
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