Meno spese per salvare la sovranità
Per fare ciò la credibilità e la serietà dimostrate in queste settimane dal Governo Monti costituiscono ingredienti fondamentali, ma non sufficienti. Serve recuperare con urgenza le abbondanti risorse che il Paese possiede ma di cui lo Stato non può disporre per effetto di una improvvida politica di panem et circenses portata avanti da tutte le forze politiche negli ultimi 40 anni.
Schiacciata da un debito pubblico abnorme, l’Italia ha bisogno di un’urgente e coraggiosa spending review, da cui recuperare almeno 60-70 miliardi, ossia quanto necessario a far fronte al pagamento degli interessi ovvero a nuovi investimenti produttivi.
Le aree di intervento possono andare dal contenimento drastico della spesa pubblica corrente all’abolizione, sia pure nell’arco di 3 anni, dei trasferimenti alle imprese, che pesano per circa 25-30 miliardi all’anno.
Non si può continuare ad acquistare in maniera non coordinata materiali di consumo e beni di investimento, il cui prezzo varia nel primo caso da 1 a 3 e nel secondo da 0,80 a 1,2 volte; né si tratta di comprare meno, si tratta di comprare meglio e nelle quantità effettivamente necessarie.
Sembra che ancora oggi al centro non ci sia una conoscenza in tempo reale di quanto e a quale prezzo viene acquistato dalle Pubbliche Amministrazioni, anche periferiche. Ciò avviene invece in Corea e Messico, come ha ricordato recentemente sul Foglio il professor Gustavo Piga.
Per poter riprendere una politica di sviluppo bisogna dunque bloccare la spesa pubblica e quindi abbattere in misura significativa il debito pubblico.
Senza queste premesse non si può pensare a una imposta patrimoniale, peraltro non facile da applicare con equità . Né si può pensare a breve termine alla privatizzazione di quanto resta della grande industria italiana, a causa dell’assenza di gruppi industriali e finanziari nazionali pronti a intervenire e per via della troppo recente introduzione dei fondi di pensione integrativa, che nei primi 10 anni dalla loro istituzione non dovrebbe poter investire in azioni se non per quote minime della loro raccolta.
A valle della spending review, dalla quale non va naturalmente esclusa l’abolizione delle migliaia di enti inutili, di cui si parla da più di trent’anni, ed immaginando la permanenza nel tempo di questo Governo, si potrebbero emettere fino a 100 miliardi di euro di un Btp quarantennale, al tasso del 5,5-6%, destinati a ritirare un pari importo di titoli a più breve scadenza. Il collocamento potrebbe avvenire con relativa facilità in Italia attraverso il canale bancario (banche di credito ordinario, cooperativo, Bancoposta), le compagnie di assicurazioni sulla vita (probabilmente anche straniere), le fondazioni bancarie e per il saldo presso lo stesso sistema bancario.
L’attuale nervosismo del Bundestag nell’approvare il salvataggio provvisorio della Grecia non deve farci dormire sugli allori, ma deve anzi attirare l’attenzione del Paese sull’urgenza di rimettere in ordine la nostra casa.
Ciò al fine di evitare il ricorso al Fondo monetario internazionale, che, occupandosi del nostro debito sovrano, premerebbe per la vendita del nostro patrimonio industriale, finanziario ed energetico — per necessità di cose prevalentemente all’estero —, privandoci così di fatto della nostra Sovranità tout court.
*Banchiere, presidente della Vitale & associati
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