by Editore | 30 Marzo 2012 11:03
«Stiamo vivendo un momento di grandi cambiamenti nella storia dell’editoria, una rivoluzione della filiera delle idee della conoscenza e dell’economia in grado di modificare il concetto stesso di editoria a livello internazionale. In più ci sono le specificità italiane in cui gli editori rappresentano aziende che stanno cambiando la loro stessa natura. Al punto che non sappiamo come saranno tra due o tre anni. E questo avviene in un mercato come quello italiano che già prima dell’inizio di questa fase di trasformazione leggeva poco. Parliamo di giornali: nel 2010 in Italia venivano distribuite 137 copie ogni mille abitanti contro le 180 della Francia, le 260 della Germania, le 280 del Regno Unito e le 310 dell’Austria. Siamo gli ultimi e dietro abbiamo solo Romania, Bulgaria e pochi altri Paesi. Lo stesso vale per i libri. Quello italiano non è un piccolo mercato: i libri valgono 3 miliardi di euro l’anno, compresa la scolastica. Però è palese che meno della metà della popolazione compra un libro. Si sta parlando del 44% secondo i dati forniti dal centro per la promozione del libro».
Sottosegretario Paolo Peluffo, per quanto in crisi quello dell’editoria resta comunque un comparto molto importante, il secondo per numero di addetti. Però gli aiuti pubblici a questo settore vengono sempre visti con molto fastidio.
Esiste un problema di reputazione del sostegno all’editoria e il mio sforzò è quello di tentare una trasformazione del meccanismo delle sovvenzioni proprio per eliminare le zone d’ombra. E’ essenziale che i criteri siano semplici e comprensibili. Uno di questi può essere ad esempio il reale numero di copie vendute, ovviamente il contributo sarà più elevato rispetto a oggi. Perché il pluralismo esiste solo se c’è qualcuno che il giornale lo legge davvero. Lo so sarà doloroso, ma dobbiamo dimostrare che si tratta di un’azione socialmente necessaria.
Lei ha parlato di valore strategico del contributo.
Sia chiaro, il valore strategico lo è anche indipendentemente dall’entità del finanziamento, che non è controllato da me bensì dal bilancio dello Stato. Che in questo momento ha delle necessità perché ci sono poche risorse per tutti. Io dico: quelle poche le dobbiamo usare bene e indirizzare le imprese verso bisogni sociali reali e comportamenti editoriali che diano un futuro ai prodotti della conoscenza.
In questi mesi non sono mancate pressioni perché il fondo per l’editoria non venisse rifinanziato. Si deve a questo il ritardo con il governo ha reperito i fondi necessari?
Assolutamente no.
Eppure c’è un bacino di 400 mila copie, specie dei giornali locali, che può far gola a molti.
Le posso dire che non c’è stata nessuna pressione, ma le devo dire anche che io capisco che esiste un problema globale dell’editoria italiana. I grandi gruppi si interrogano su come cambieranno e anche loro hanno delle legittime aspettative sul fatto che alcuni pezzi dell’innovazione siano accompagnati positivamente dal governo. Anche qui: non sappiamo se ci saranno risorse, ma se ci fossero sarebbe giusto, per esempio, fare di nuovo un bando di credito agevolato per l’investimento sulle piattaforme digitali di proprietà italiana.
Torniamo ai contributi: risolta l’emergenza per il 2011 restano ancora scoperti il 2012 e il 2013. Il governo come pensa di intervenire?
Noi avevamo uno stanziamento che era così concepito: 47 milioni nel 2012 a copertura del 2011, 56 e 64 per il biennio successivo. Era quindi crescente. Abbiamo fatto presente la retroattività dell’intervento rispetto ai bilanci già chiusi. E questo è stato ascoltato dal ministero dell’Economia che ha provveduto al rifinanziamento. Per parlare del finanziamento in bilancio per i prossimi due anni, bisogna che il governo prima condivida i criteri di assegnazione, cosa che io vorrei fare entro aprile sulla base delle direttrici che ho illustrato in parlamento: copie vendute, riduzione delle fattispecie di rimborso dei costi dove l’occupazione ha un punto privilegiato, spinta verso l’on-line, con la possibilità per tutti quei giornali che hanno il contributo pubblico di poterlo conservare in parte, e informatizzazione delle edicole. Una volta che noi facciamo vedere una vera svolta in termini di trasparenza, a quel punto conterei di chiedere in sede di legge di stabilità una riflessione su qual è il punto di sostegno che il bilancio dello Stato, nelle condizioni di oggi, si può permettere.
Sarebbe importante stabilire un periodo di stabilità , di certezza del contributo per le aziende.
Fino al 2014, dobbiamo deciderlo con la legge di stabilità .
Avete già fatto una prima scrematura di quanti giornali perderebbero il contributo?
No, questa è un’altra cosa che riguarda i criteri di accesso sui quali io credo debba intervenire il parlamento. Oggi i contributi dell’editoria sono diretti al sostegno di 260 testate che hanno complessivamente un fatturato di 269 milioni di euro e per le quali il contributo dell’anno scorso si aggira sui 149 milioni di euro. Di queste testate ce ne sono 137 che sono giornali diocesani, molto piccoli, che tutti insieme hanno 209 giornalisti. I giornalisti occupati complessivamente sono invece 1600. Questa è la fotografia.
E’ stata appena approvata la legge sul cosiddetto equo compenso. Si tratta di una norma sacrosanta che difende i giornalisti precari ma che, allo stesso tempo, rischia di mettere in difficoltà le piccole testate. Tra l’altro il rispetto della legge è tra i requisiti richiesti per poter continuare ad accedere ai contributi.
Questa legge prevede che si istituisca una commissione presso il Dipartimento dell’editoria per valutare i singoli casi. Mi sembra una legge saggia nella sua impostazione, che ha in sé la flessibilità della valutazione di un sistema anch’esso soggetto a dei cambiamenti. Io do un giudizio personalmente positivo.
Le novità introdotte dalla riforma Fornero rischiano di rappresentare una minaccia per l’editoria?
Si tratta di una questione molto critica e mi sono impegnato a fare una ricognizione della situazione. L’impegno che posso prendere è di fare nelle prossime settimane una fotografia delle possibili conseguenze.
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