«Siamo un Paese feudale che cerca un leader forte»

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MOSCA — Quando lo zar Alessandro I discusse il tema della corruzione con il capo della sua polizia segreta, il conte Alexandr Benkendorf, gli disse che bisognava punire tutti i colpevoli. Ma quello, allargando le braccia, rispose: «Ma allora con chi rimane, Maestà ?».
Andrei Konchalovskij mi racconta l’aneddoto durante una pausa delle prove di «Tre Sorelle» di Cechov, che in primavera mette in scena al Teatro Mossoviet. E ricorda che anche Vladimir Putin lo ha evocato di recente.
Il celebre regista è da poco tornato dal seggio. Ha votato Vladimir Vladimirovich, «perché non c’era alternativa credibile, perché vince comunque e perché in ogni caso è meglio cercare di influenzarlo per risolvere il problema più difficile e complesso che abbiamo davanti: cambiare il sistema di valori medioevale di questo Paese».
L’analisi di Konchalovskij indulge spesso nel paradosso e non risparmia nulla al vecchio e nuovo leader del Cremlino. In fondo Andrei è l’erede meno allineato di una grande dinastia, che ha attraversato indenne le svolte brusche della storia russa: suo padre era lo scrittore e poeta Sergei Mikhalkov, autore dell’inno a Stalin e poi di quello a Eltsin; sua madre era la poetessa Natalia Konchalovskaya, suo fratello è il regista premio Oscar Nikita Mikhalkov, sempre sulla breccia da Breznev a Putin.
Il concetto di base del suo ragionamento è quello di una sorta di «jet-lag storico» di cui sarebbe preda la società  russa, dove non è mai nata la borghesia e i valori dominanti sono anacronistici: «Il bisogno di un leader forte con un potere verticale, il successo finanziario altrui visto come minaccia al proprio benessere, un circolo di fiducia ristretto, il nepotismo, l’assenza di responsabilità  personale». La conclusione del regista di «A trenta secondi dalla fine» è che la Russia sia ancora «troppo giovane per la democrazia» proprio perché «manca una vera borghesia, una classe di cittadini».
L’impressione immediata è che Konchalovskij si stia perdendo qualcosa, cioè l’esordio sulla scena pubblica di una nuova classe media, quella favorita proprio da Putin ma che ora rifiuta il patto scellerato della rinuncia alla politica.
«Non è così. Questa classe benestante non è una borghesia. Ha un certo livello di consumo, ma anche i suoi valori sono feudali. Dipendono totalmente dal Cremlino per il successo economico, non rischiano, non hanno impegni sociali».
Il cineasta cita il filosofo Konstantin Leontyev: «Diceva che la Russia dev’essere sempre un po’ gelata, altrimenti marcisce. E cos’ha fatto Putin nei primi anni del suo potere, se non congelare un Paese che si stava liquefacendo? Quando nel 1991 i russi ottennero tutte le libertà , non seppero cosa farne e lo Stato cominciò a sciogliersi. Il primo risultato della fine del comunismo fu il ritorno ai valori storici nazionali, soppressi dal terrore sovietico. Ma erano i valori precedenti una rivoluzione borghese, quelli feudali di una Russia che non aveva mai avuto l’umanesimo. Tutta la cultura europea si basa sulla filosofia greca, la scolastica ebraica e il diritto romano. Noi non abbiamo avuto questa base».
L’errore del secondo Putin è stato di «non lottare contro il feudalesimo statale, che impedisce ogni sviluppo». «Non parlo neppure di corruzione — aggiunge Konchalovskij — qui rubano tutti, è un fatto della vita. Non c’è diritto, non c’è una polizia normale, il cittadino non è protetto dalla criminalità  di ogni genere. Ecco perché i cosiddetti imprenditori russi sono totalmente collaborazionisti col potere. Sembra il Trecento, cioè sette secoli fa. Dopo la vittoria, Putin deve avere il coraggio di dire che viviamo in una società  feudale e combattere questi valori. Creare un vero Stato civile di diritto. La democrazia verrà  dopo. È l’ultima occasione che ha. Se facesse prevalere la fedeltà  ai suoi amici, ci sarebbe un’esplosione».
La crisi demografica in atto in Russia è per il regista figlia di questo sistema: «Ci sono in Russia 5 milioni di bambini abbandonati dai genitori: ma non c’è responsabilità  penale per questo delitto. Ogni anno vengono violentati e uccisi 1.600 minorenni, negli ultimi vent’anni la popolazione russa è diminuita di 7 milioni. Sono dati africani. Fatti più gravi della corruzione».
Eppure, in tanto pessimismo, neppure Andrei Konchalovskij rinuncia a un barlume di speranza: «C’è un processo di socializzazione su Internet che cresce e premerà  sul potere. Ci vorrà  tempo, non basteranno 5 anni. Andrei Navalny è coraggioso nella sua denuncia della corruzione, anche se assomiglia un po’ a Savonarola. Tutto dipende però dalla saggezza di Putin. Se non l’avrà  saranno guai».


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