«Padri a casa solo 72 ore, spero nei 40enni»
La maternità non è solo un fatto di donne. Bisogna conciliare i tempi del lavoro con quelli della famiglia, è tutto il nucleo familiare — papà compreso — che deve fare lavoro di squadra». Così il ministro del Lavoro Elsa Fornero ha riassunto la grande questione delle donne annunciando l’introduzione del congedo di paternità obbligatorio che — insieme alla norma contro le dimissioni in bianco — dovrebbe rivoluzionare le mentalità e liberare il lavoro femminile dal paradosso contemporaneo. Perché mentre tutti riconoscono ormai che il lavoro femminile conviene e che il suo incremento farebbe anche aumentare il Pil italico — lo ha ricordato autorevolmente anche il presidente Napolitano proprio nella giornata dell’8 marzo — nei fatti poi la mentalità diffusa nei confronti di questo lavoro di genere è ancora ferma a spiriti premoderni.
«E in Italia più che nel resto d’Europa. E credo che abbia valore simbolico il fatto che il governo obblighi i padri a sperimentare la vita quotidiana con il bambino. Ma poi mi pare abbastanza incredibile che lo stesso governo parli di tre anni di sperimentazione per tre giorni di congedo, se si pensa che il Parlamento europeo ha votato per raccomandare un congedo maschile di due settimane», dice Chiara Valentini, giornalista e scrittrice che ha appena pubblicato per Feltrinelli un libro-inchiesta che fin dal titolo imposta il dilemma del momento: «O i figli o il lavoro». Quindici giorni sarebbero il minimo, mentre in Italia privilegi del genere li concedono solo alcune aziende pilota, per esempio la San Pellegrino Nestlé, a stipendio pieno.
«Tuttavia — continua Valentini — in quel groviglio di antico e moderno che si agita intorno al lavoro femminile l’unico cambiamento che si comincia a vedere sono proprio i padri di questa generazione, dai 40 anni in giù, che stanno cambiando spontaneamente i loro comportamenti, ancora prima che intervengano i governi». Insomma, se lui si mette il grembiule la famiglia cresce, si potrebbe concludere con una divertita espressione della demografa Letizia Mencarini.
Per il resto la situazione delle donne sul lavoro è parecchio arretrata, piena di nodi irrisolti e di stereotipi da abbattere. Sul grande tema delle dimissioni in bianco e della sottaciuta ostilità che i datori dimostrano verso le dipendenti donna per esempio Valentini si è imbattuta, quasi incredula, in situazioni «simil ottocentesche, ragazze che nascondono il pancione come una volta, ma ora per paura di perdere il posto». Posto che perlopiù è precario, perché nel grande calderone della nuova precarietà sono proprio le donne e le future madri a essere più penalizzate. Nel libro Valentini racconta il caso quasi surreale ma vero di una giovane operaia e ragazza madre che, rientrando al lavoro dopo la maternità , aveva disperatamente bisogno di otto minuti in più. L’asilo nido apriva alle 7.30, proprio come lo stabilimento dove lei lavorava; per venirle incontro le puericultrici le avevano detto: «Ci passi pure la bambina dal finestrino della macchina, al resto pensiamo noi». Ma dal nido alla fabbrica ci volevano comunque otto minuti e per quel lampo di tempo, che lei chiedeva — invano — di recuperare in uscita, l’operaia è passata attraverso una piccola via crucis, finendo per accettare un part time, dalle 8 alle 13, e non era quello di cui aveva bisogno.
Il tempo, altro grande stereotipo da abbattere: «Si dà per scontato che il lavoro possa essere organizzato solo come avviene ora, sulla certezza della piena disponibilità . In una strana nuova lingua che porta la parola tempo a essere sinonimo di merito. La quantità equivalente della qualità », scrive il segretario generale Cgil Susanna Camusso nella prefazione al libro di Valentini. Un equivoco, quello del tempo, fatale soprattutto per le donne accusate di non esserci mai abbastanza, di non presenziare e presidiare: «La frase classica è: hai la testa a casa, specialmente quando il bambino sta male — aggiunge Valentini —. Mentre proprio qui dovrebbe scattare la condivisione, la redistribuzione dei pesi. E delle responsabilità fra uomo e donna». E Riccardo, ricercatore e padre giovane di nuovo conio racconta nel libro di come, da quando è nato il bambino, la sera arriva a casa alle 19.30, lo cambia e gli dà la cena: «In ufficio negli ultimi venti minuti divento una trottola vivente e mi viene l’ansia» dice compiaciuto.
Per questo la condivisione — come dice Fornero, in sintonia in questo caso con le donne che hanno affrontato la questione — potrebbe davvero rappresentare il punto di Svolta.
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