lo Stato Ambiguo e i Nullatenenti con l’Auto di Lusso

by Editore | 31 Marzo 2012 16:57

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Fino a quando i gioiellieri si ostineranno a tenere aperte gioiellerie che gli danno a malapena da vivere, i ristoratori continueranno a servire pasti rimettendoci denaro e gli idraulici insisteranno a riparare bagni per beneficenza? 
Ci era sembrato che quell’epoca storica fosse ormai al capolinea, come se le incursioni della Finanza a Cortina o nelle strade della movida milanese avessero certificato un radicale cambiamento nel rapporto fra l’Italia e le tasse. Invece non era altro che un miraggio.
Perché in un Paese nel quale un contribuente su quattro non paga un centesimo di Irpef e soltanto uno su cento dichiara oltre 100 mila euro, mentre quasi metà  delle società  di capitali chiude i bilanci in perdita, delle due l’una: o siamo poveri in canna oppure il Fisco continua a restare il nemico assoluto. Al punto che consola appena il dato dei 13 miliardi recuperati nel primo trimestre di quest’anno con la lotta all’evasione. I numeri del dipartimento delle Finanze ci dicono che la strada della pacificazione è ancora molto lunga.
Ma c’è un aspetto che viene sempre ignorato ogni volta che vengono diffusi dati così macroscopicamente incoerenti con la realtà  dei nostri consumi. Si chiama in causa l’infedeltà  fiscale e si dipinge l’evasione alla stregua di uno sport nazionale, trascurando responsabilità  altrettanto gravi di chi ha contribuito a trasformare il Fisco nel nemico assoluto. Per, esempio, quelle che Bruno Tonoletti, professore dell’Università  di Pavia, definisce «politiche implicite». Traduzione: si persegue una politica per raggiungere «ufficialmente» un determinato obiettivo, ma gli effetti «ufficiosi» che se ne ottengono sono ben diversi. Talvolta perfino opposti.
Un esempio? L’Italia ha probabilmente i regolamenti edilizi più rigorosi d’Europa. Ma la massa di disposizioni è così imponente e complicata, differente da Regione a Regione da Comune a Comune, e i controlli così inesistenti, che questa impalcatura finisce per favorire un abusivismo senza eguali nel continente. E poi, puntualmente, arrivano i condoni: tre negli ultimi trent’anni.
In questo sistema gli italiani e chi li governa si trovano perfettamente a proprio agio.
Anche le nostre regole fiscali non sfuggono alla logica diabolica delle «politiche implicite». La prova? Negli ultimi trent’anni ci sono stati regalati, oltre alle tre sanatorie edilizie, tre condoni fiscali tombali.
Non bastasse lo sterminato groviglio di leggi e circolari, ecco i nostri «Studi di settore». Creati dopo il tentativo, andato a vuoto nel 1992, di introdurre la famigerata «minimum tax», allo scopo di far pagare le imposte ai lavoratori autonomi, si sono tradotti nella realtà  in un patto con le categorie più vessate da adempimenti, gabelle e burocrazia, e di conseguenza più allergiche al Fisco. Il principio è a dir poco elementare: se paghi almeno un tot ti risparmiamo i controlli. Come se fosse il governo a stabilire una soglia minima di evasione «consentita». Il Fisco ha la coscienza a posto, il professionista o il commerciante pure.
Una ipocrisia travestita con matematica precisione in un meccanismo che arriva a stabilire quanto almeno debba dichiarare il titolare di un esercizio in una certa strada di una certa città . Ma che frana miseramente di fronte alle 206 mila auto del prezzo superiore a 100 mila euro vendute ogni anno dalle concessionarie italiane. O a statistiche impietose, come quelle secondo cui il 64% degli yacht circolanti in Italia sono intestati a nullatenenti, ad arzilli prestanomi ultraottantenni se non a società  di comodo italiane o estere. E viene puntualmente smascherata ogni volta che le Fiamme Gialle si accorgono nel corso delle loro indagini che mancano all’appello valanghe di scontrini fiscali. Oppure si scopre che nelle banche svizzere non ci sono più cassette di sicurezza disponibili.
Non resta che aspettare il prossimo anno e sperare che finalmente gli imprenditori si decidano a guadagnare qualcosina più degli operai. Ma sappiamo che non succederà , se il primo a credere in questa possibilità  non sarà  proprio il Fisco.
Sergio Rizzo

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