Lo scoperto di governo
Per una volta è il governo e non il parlamento ha dare motivo di preoccupazione al capo dello stato. Ieri sera Giorgio Napolitano è dovuto intervenire, ha telefonato al presidente della camera chiedendo chiarimenti sul tremendo impiccio che ha scatenato il decreto liberalizzazioni. È successo che la legge di conversione, già approvata dal senato, sia finita nel mirino della ragioneria generale dello stato per mancanza di copertura. Il fatto ha messo in imbarazzo la commissione bilancio di Montecitorio, dalla quale ieri mattina è arrivato a fatica un via libera «politico». Nel parere è entrata qualche osservazione critica, ma per carità di patria non è stato tirato in ballo il costituzionale articolo 81, quello che prescrive la copertura per le leggi di spesa. Ciò nonostante il governo è andato avanti come un treno. Ha chiesto la fiducia sulle liberalizzazioni, che sarà votata oggi. Rifiutando anche, con il solito sottosegretario Paolillo, un ritorno in commissione: troppo stretti i tempi, il decreto scade sabato. A quel punto Fini, che giusto sette giorni fa in conferenza dei capigruppo aveva stigmatizzato l’eccessivo ricorso ai decreti legge e alla fiducia, poteva imporre comunque una veloce pausa di riflessione. Dopo tutto la ragioneria generale è un dipartimento del ministero dell’economia, le critiche al decreto arrivano dagli stessi uffici di Mario Monti. Ma il presidente della camera si è limitato a una critica personale all’esecutivo «insensibile». Comunque una novità per il governo dei tecnici: «Rammaricato», Fini ha detto che la questione aveva una sua «oggettiva fondatezza».
Troppo poco per fermare il governo, ma anche troppo per non costringere Napolitano a intervenire. In aula il ministro per i rapporti con il parlamento Giarda, che ha una lunga esperienza, è sembrato accorgersene subito, rispondendo freddo a Fini: «Prendo atto delle parole che lei ha voluto pronunciare». Ma, ha aggiunto il ministro, tocca al ministero per l’economia pronunciarsi e a questo punto il viceministro Grilli dovrà fornire la sua interpretazione delle coperture. Napolitano, intanto, è stato subito chiamato in causa da Italia dei valori e Lega nord, che hanno preannunciato lettere al Quirinale e chiesto al capo dello stato di non promulgare la legge. «Il governo mette in imbarazzo il presidente della Repubblica che dovrà firmare in queste condizioni – ha detto il capogruppo Idv Massimo Donadi – il parlamento non ha il potere di approvare leggi che non hanno la copertura finanziaria». Napolitano è intervenuto nel modo più lieve possibile. Annunciando che compirà «gli opportuni passi per un chiarimento». I fatti, dicono dal Quirinale, e del resto l’ha riconosciuto anche Fini, sono «oggettivi». Grande spazio di manovra non c’è, se non si arriverà a un successivo decreto di correzione forse potrà bastare un impegno scritto del governo in risposta ai dubbi della Ragioneria. Che sono concentrati su cinque articoli del decreto liberalizzazioni, due riguardano i diritti aeroportuali, uno l’aumento di 40 unità nell’organico dell’Autorità per l’energia, uno l’istituto delle compensazioni per il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione e l’ultimo, il più problematico, la possibilità di permutare beni del demanio anche quando sono utilizzati dalla pubblica amministrazione (che paga un affitto).
Oggi pomeriggio, dunque, la camera voterà la dodicesima fiducia al governo Monti, in tre mesi. Al governo Berlusconi ne servirono otto per arrivare allo stessa quota. Vista la maggioranza l’esito è scontato, ma visti i pasticci combinati dai «tecnici» non è improbabile che cresca ulteriormente lo spread tra la maggioranza teorica (i 556 sì del 18 novembre) e la maggioranza reale che sette giorni fa a Montecitorio si è fermata a quota 458. Non sono pochi i deputati del Pdl abituati a disertare la chiama e ieri almeno quattro berlusconiani – Crosetto, Mazzucca, Bianconi e Ronchi – hanno solidarizzato con la Lega. Situazione identica nel Pd; critiche al governo sono arrivate dal delegato d’aula Giachetti – «l’ennesima fiducia pone un problema reale» – dal rappresentante nel comitato per la legislazione Duilio e dal deputato Ferrari che su twitter ha scritto che molti democratici giudicano il governo «reticente». E infatti quando l’Idv ha chiesto il ritorno in commissione del provvedimento, nessuno della maggioranza – né dal Pd, né dall’Udc, né dal Pdl – si è alzato per parlare contro la proposta.
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