«Non è resistenza, risposte dure ai violenti»

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ROMA — «Mai più No Tav. La consultazione pubblica si può fare. In Val di Susa andava fatta prima. Ora il conflitto si è radicalizzato. E bisogna rispondere con durezza ai violenti». Luciano Violante, presidente del Forum del Pd per le riforme, accoglie positivamente l’intenzione del governo di adottare sulle Grandi Opere il modello della consultazione preventiva alla francese, promosso in un recente convegno anche dalla associazione da lui presieduta, Italiadecide: «A Genova è già  stato fatto per il nodo autostradale della Gronda. Il tracciato è cambiato, salvando alcune case, e con notevole risparmio rispetto alla progettazione. Fosse stato fatto in Val di Susa non si sarebbe arrivati ad alzare questa barriera oltranzistica». Ma avverte: «Non chiamiamo quello che sta accadendo in Val di Susa resistenza».
C’è chi, come Michele Santoro, lo fa. Pensa che sbagli?
«Credo che non si possa applicare uno schema nobile a qualcosa di ignobile come la devastazione di luoghi e l’aggressione ai giornalisti. La Val di Susa ha conosciuto azioni partigiane in guerra, ma questa ne è solo una squallida parodia».
Perché?
«Una cosa è la contestazione. Buttare sassi, devastare, bloccare un’autostrada che collega due Stati, è tutt’altro. La legalità  va difesa. Non basta esprimere solidarietà  a Giancarlo Caselli. La politica deve agire e porre un confine netto tra dissenso e violenza».
Pensa che ci sia chi, nel centrosinistra, non lo stia facendo?
«Non si può avere un atteggiamento compassionevole verso i violenti come se difendessero una nobile causa. Questo può indurre altri, sprovveduti, a seguirne l’esempio».
Da destra quest’accusa colpisce anche il suo partito, il Pd.
«Abbiamo smesso da tempo di essere una Chiesa. Si discute di tutto e si hanno posizioni diverse. Ma poi la decisione è una. Non si può nutrire la minima indulgenza. Il movimento deve isolare i violenti e lo Stato deve reagire con fermezza».
In che modo?
«Arrestando, facendo i processi e condannando i responsabili delle devastazioni. In modo che i violenti non diventino un esempio per altri».
Non potrebbe accadere il contrario di fronte alla durezza?
«Cominciamo a dire che molti eviterebbero di trovarsi in mezzo alle violenze. Se un ragazzo pensa che sia come andare in discoteca va. Se sa che lo possono prendere e processare ci pensa. Bisogna spiegare bene loro come stanno le cose. E non utilizzarli per la battaglia politica». 
Chi li usa?
«Noto certe equidistanze da opposti oltranzismi. Si dice: da una parte ci sono i No Tav, dall’altra quelli che vogliono la Tav a tutti i costi. Non è così».
Invece come è?
«Non può essere messo sullo stesso piano chi adempie a una decisione nazionale e internazionale già  democraticamente presa e chi impedisce a un cantiere di lavorare, danneggia e blocca le autostrade. È responsabilità  del governo rispettare gli accordi e far rispettare le leggi».
Come possono essere ascoltati i valsusini?
«Ci sono molti modi legali di contestazione. Dopodiché se si deve fare o no una Grande Opera non lo possono decidere i cittadini, dico per dire, di Bussoleno. Perché riguarda anche molti altri, in questo caso da Kiev alla Spagna. Ecco perché bisognava agire prima».
Come?
«Il consenso va cercato all’inizio. Come a Genova. Con i cittadini si deve aprire, da subito, un confronto informato. Ci sono figure specializzate nella soluzione di conflitti che possono essere coinvolti prima della decisione finale. Poi certo deve scattare una solidarietà  reciproca».
Ovvero?
«Non può essere solo lo Stato solidale con la base, ma anche il cittadino deve dare dal basso la solidarietà  all’opera pubblica. Senza Grandi Opere nessun Paese si sviluppa».


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