«Noi siamo studenti, non servi del mercato»
Si è conclusa con una lezione sul libro «Il Maestro ignorante» del filosofo francese Jacques Ranciére e sull’eguaglianza la settimana di protesta degli studenti universitari nella Repubblica ceca. La settimana di protesta degli studenti e dei lavoratori accademici(Tyden neklidu) ha visto l’appoggio dei senati accademici di 18 università pubbliche sulle 26 presenti nel Paese. Una diffusione capillare, che ha coinvolto le 8 maggiori città ceche e migliaia di studenti, professori e semplici cittadini, dando vita al più massiccio movimento universitario dal 1989.
La grande mobilitazione è stata provocata dalle riforme del governo liberal-conservatore del premier Petr Necas, che prevede un aumento delle rette scolastiche, un cambio della governance delle università e una riduzione sostanziale dell’autonomia accademica. A farne le spese sono nel piano del governo soprattutto gli studenti, la cui rappresentanza nei senati accademici e nei consigli d’amministrazione delle università dovrebbe essere ridotta al lumicino. Negli intenti del governo il potere decisionale dovrebbe spostarsi soprattutto verso i consigli d’amministrazione, dove così crescerebbe la rappresentanza degli imprenditori e degli enti locali. Le finalità del governo appaiono quindi chiare: mutare il rapporto tra l’insegnante e lo studente in uno scambio commerciale, basato sulla vendita di una certa quantità di saperi più o meno immediatamente spendibili sul mercato. La riforma del governo ceco non è quindi molto diverso dagli analoghi tentativi fatti in Spagna, in Italia, in Francia o in Austria e si va ad aggiungere alla già precaria situazione attuale delle università ceche.
Il culmine del Tyden neklidu è stato raggiunto mercoledì mattina quando sono scesi in piazza i studenti della capitale e delle altre città universitarie. E le manifestazioni sono state un successo imprevisto. «La partecipazione ci ha veramente sorpreso. A Praga sono scesi in piazza almeno dieci mila studenti e complessivamente hanno manifestato circa 20 mila studenti in tutta la Repubblica ceca», ha detto al manifesto uno dei leader della protesta, Richard Cisler. Si è quindi trattato del più grande movimento di protesta studentesco a partire dal 1989, quando gli studenti furono una forza trainante nel cambiamento sociale d’allora. «Tuttavia non bisogna dimenticare le migliaia di persone, che hanno partecipato alle “Notti bianche universitarie”, ai dibattiti e alle proiezioni pubbliche», ha aggiunto Cisler, sottolineando l’ampiezza della settimana di protesta. Una delle forze del movimento è stata anche quella di saper oltrepassare gli steccati accademici, coinvolgendo sia gli studenti che i professori e gli altri lavoratori accademici, spesso precari e sovraccarichi di lavoro.
Durante la settimana le università hanno voluto aprire le proprie aule i propri corridoi a coloro, che solitamente non frequentano l’ambiente accademico. Aprirsi al mondo è stato sentito come un’irrinunciabile necessità dopo le parole piene di odio sociale del ministro dell’istruzione Pavel Dobes. Quest’ultimo, difendendo l’aumento delle tasse universitarie, ha infatti detto: «Ma vi pare giusto che una cassiera o un operaio paghi gli studi a un futuro medico o avvocato?». Sulla stessa falsariga sono state anche le ripetute battute sul tema del presidente della repubblica Vaclav Klaus, che ha indicato gli studenti universitari come parassiti sociali.
Tuttavia il tentativo di aizzare il malcontento delle classi più deboli contro gli studenti sembra essere fallito. Alle proteste studentesche e dei lavoratori accademici ha infatti espresso la propria solidarietà il maggior sindacato ceco, la Cmkos. «La reazione di solidarietà dei lavoratori mostra quanto siano false le argomentazioni del ministro Dobes e degli altri uomini politici della sua taglia», ha commentato Michal Uhl, uno dei portavoce del movimento «Per le università libere» (Za svobodne vysoke skoly). Tuttavia va notato, che la presenza organizzata dei lavoratori e dei sindacalisti alle proteste studentesche è stata minima, sebbene il movimento goda della simpatia della maggioranza dell’opinione pubblica.
La mobilitazione di fine febbraio ha segnato una tappa importante anche sul versante culturale. Per la prima volta gli studenti hanno vissuto le università come un luogo di partecipazione, di mobilitazione politica e di autogestione dei saperi. Un’ esperienza senz’altro nuova, che probabilmente lascerà segni profondi e potrebbe portare verso uno risveglio critico di un milieu sociale, quello studentesco, spesso organico e compiacente verso l’ideologia neoliberista e assai poco critico verso la società post 1989. Perciò le proteste studentesche hanno avuto una forte ripercussione sulla destra liberale, che si è vista sgretolare una delle sue tradizionali basi d’appoggio sociale.
Anche a grazie a questa capacità di seminar zizzania tra le fila degli avversari politici, il movimento di certo non si ferma. «Andremo avanti con le proteste, qualora il ministro non ascolti i rappresentanti delle università e degli studenti. Noi comunque puntiamo al ritiro completo delle riforme», illustra le prossime mosse del movimento Richard Cisler. Il movimento si potrebbe quindi saldare con le proteste, che metteranno in campo nelle prossime settimane i sindacati, e portare in difficoltà uno dei governi più reazionari del continente europeo.
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