«Ma i tempi delle cause si allungheranno»
Sarà una sfilata di modelli: da quello tedesco a quello spagnolo. Ma tutti in chiave made in Italy. La riforma del mercato del lavoro è tracciata e adesso che emergono maggiori dettagli è possibile tentare di sciogliere qualche dubbio e qualche motivo di equivoco.
Cominciamo a tracciare il campo d’interesse: la riforma dell’articolo 18 riguarderà le aziende con meno di 15 dipendenti? «No, — afferma il giuslavorista Franco Toffoletto — per le piccole imprese non cambia nulla. Non bisogna dimenticare che in caso di licenziamenti discriminatori, per motivi di età , sesso o religione, anche i lavoratori delle piccole imprese possono ricorrere al giudice che, se accerta l’abuso, annulla il licenziamento. Non bisogna dimenticare che solo in questo caso l’onere della prova è a carico del lavoratore, in tutti gli altri casi è l’azienda a dover provare la fondatezza della propria tesi».
Per quanto riguarda il licenziamento per motivi economici (oppure oggettivi) si parla di modello alla tedesca: quello che prevede che il giudice non possa reintegrare il dipendente, ma stabilire un indennizzo tra le 15 e le 27 mensilità . «In realtà si tratta di un modello tedesco rivisto all’italiana — spiega Luca Failla, founding partner di Lab Law — in Germania infatti è l’azienda a scegliere se reintegrare il lavoratore o pagare l’indennizzo. Il punto è che è stato introdotta una prassi in vigore nel sistema spagnolo: prima di procedere al licenziamento per motivi oggettivi sarà obbligatorio un tentativo di conciliazione. Una scelta che potrebbe allungare a dismisura i tempi dei processi andando in senso contrario rispetto all’accelerazione annunciata sulle controversie in merito ai licenziamenti».
Visto che la maggiore novità riguarda proprio i licenziamenti per motivi economici, anche in questo caso andrebbe sgombrato il campo da possibili equivoci. «I motivi economici non equivalgono alla crisi economica, — osserva Toffoletto — in quel caso c’è una disciplina apposita per lo stato di crisi. Il motivo economico, oppure oggettivo, è inerente all’organizzazione del lavoro e del sistema produttivo. Quindi può realizzarsi quando un’azienda cambia strategia e chiude certe aree produttive perché non le ritiene più funzionali».
E proprio i temi che si prestano a molteplici interpretazioni sono quelli che suscitano più polemiche. Come si definisce un giustificato motivo o una ragione economica? «È un vecchio e dolente tema, — ammette Failla — servono criteri oggettivi per definire una giusta causa di licenziamento. Spesso ciò che risulta giusta causa per un tribunale di una Regione non vale in un’altra parte dell’Italia. Ci si attendeva qualcosa di più chiaro in questa tornata della riforma, ma per adesso non è così e sarebbe un’occasione sprecata per dissolvere tanta incertezza del diritto che ruota intorno all’articolo 18».
In tema di norme ancora generiche ci sono alcuni passaggi della bozza di riforma che risultano poco chiari agli addetti ai lavori. «Per esempio è stato annunciato che il nuovo testo prevederà anche alcune norme per velocizzare i processi sui licenziamenti, — osserva Toffoletto — ma risulta difficile immaginare che un sistema al collasso come quello italiano sia capace di velocizzarsi senza rafforzare personale togato e non. Inoltre credo che possa suscitare diversi intoppi la norma che prevede un giro di vite per le false partite Iva: non sarà semplice trasformare in lavoro subordinato l’attività svolta da chi per più di sei mesi ha un unico committente. Condivisibile il fine, ma complesso costruire un sistema normativo che lo realizzi».
In tema di contratti, si riconosce un ruolo privilegiato all’apprendistato e si fissa in 36 mesi il tempo massimo di durata di un contratto, superato il quale si passa al tempo indeterminato. «Non sono due novità assolute, — precisa Toffoletto — credo sarà più incisivo il divieto di lavorare gratis con formule ambigue come lo stage. Il contratto prevalente invece è più una suggestione che una realtà concreta, perché non è ancora ben chiaro quanto e come verrà limitata l’applicazione dei cosiddetti contratti intermittenti come il co.co.co e il co.co.pro.». Dubbi e incertezze che solo il testo definitivo potrà fugare.
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