«Linee guida» per gli artigiani, un accordo senza le categorie

by Editore | 8 Marzo 2012 9:22

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L’autonomia è una bella cosa. Basta non trasformarla in «decisionismo», che in una grande organizzazione democratica è quasi sempre foriero di robusti mal di pancia. Se poi il tema su cui viene esercitata la decisione sono il cuore delle relazioni industriali in regioni chiave come la Lombardia, mentre la Cgil confederale è impegnata in un «confronto» condotto a «giochi di ombre» sul mercato del lavoro e un sindacato di categoria ha in piedi un rinnovo contrattuale, ecco che i mal di pancia diventano contraddizione vera.
È accaduto che Cisl, Uil e Cgil lombarde abbiano firmato un accordo in cui vengono definite le «linee guida» per la contrattazione collettiva regionale per tutto il comparto industriale dell’artigianato. E che la principale categoria industriale – i metalmeccanici della Fiom che domani scendono in sciopero generale – non sia stata nemmeno consultata pur avendolo espressamente richiesto. Ovviamente alla propria confederazione, la Cgil, con tanto di lettera del 14 febbraio. il giorno dopo c’è stata la firma.
La questione procedurale sarebbe importante, ma forse non decisiva, se «il merito» di quelle linee guida fosse grosso modo condiviso o «in linea» con quanto la Cgil nazionale sta affermando in ogni sua presa di posizione. Così, protesta la Fiom lombarda, attraverso il segretario Mirco Rota, non è. Fino a decidere di investire della questione direttamente il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso.
Alla quale viene espresso il «giudizio unanime del Coordinamento nazionale artigiani di categoria» sull’accordo, che è «profondamente negativo». Sia per quanto riguarda il metodo («si interviene su un contratto nazionale la cui esclusiva titolariità  appartiene alle categorie»), sia nel merito («si prefigura un modello contrattuale fondato sulla cancellazione del ruolo e delle funzioni del contratto nazionale»).
Il punto di conflitto aperto è l’orario di lavoro, materia che proprio la Fiom, con la «riconquista del contratto nazionale unitario» – nello scorso giugno – aveva riportato tra le materie «nazionali». L’accordo lombardo, al contrario, se ne appropria, tra l’altro «concedendo» alle imprese uno squilibrio di potere – ad esempio sulla «banca ore», che possono usare a piacimento fino al 50% del monte, mentre un lavoratore deve «chiedere permesso» per prendersi un giorno di ferie). Per non parlare dell’«orario flessibile», che viene implementato di un ulteriore 10% senza alcuna contropartita. Oppure del premio di risultato («tutto variabile, tutto legato alla prestazione lavorativa»), che – a rigor di testo scritto – lascia fuori anche i periodi di maternità  («sarà  erogato per tutte le ore effettivamente lavorate, le ferie, i permessi retribuiti e le ex festività »). 
Un accordo contestato anche dal responsabile politiche contrattuali dell’Emilia Romagna (altra regione non secondaria, in Cgil), secondo cui «il modello promosso» in Lombardia «è quello che per anni come Cgil abbiamo contrastato». AL punto da chiedere un «confronto finalizzato a ripristinare un modello contrattuale unico e il rapporto tra confederazione e categorie». In ballo c’è ovviamente «una linea condivisa sulle materie indisponibili alla negoziazione, come lo sono i diritti e le tutele». I fondamentali, insomma.

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