L’Italia nel guado resta sotto tiro Alla Bce torna la preoccupazione
E soltanto 48 ore fa Willem Buiter di Citi ha decretato che la Spagna sarà costretta a piegarsi a fine anno e chiedere aiuti (e sarebbe il quarto paese della periferia dell’euro). Ma le antenne sensibili delle borse del Vecchio Continente ieri sono tornate a vibrare sui timori che sia invece l’Italia di Mario Monti a poter tornare sotto attacco. E se i mercati danno segni di nervosismo scatta l’allerta a Francoforte, negli uffici della Banca centrale europea.
Piazza Affari fanalino di coda dei listini europei e il differenziale di rendimento tra Btp e Bund tornato ad allargarsi di 50 punti in un paio di sedute hanno fatto ricordare in più di una sala operativa e certo anche nei desk dell’Eurotower i giorni terribili di novembre, quando l’attacco sembrava non dovesse mai finire. E anche le prime settimane del governo dei Professori, quando da Parigi a Washington ci si chiedeva come avrebbe fatto il nuovo governo di Roma a far tornare la fiducia e il premier francese Francois Fillon si interrogava sulle riforme annunciate da Monti, salvo scoprire dal diretto interessato che le nuove pensioni italiane erano già legge dello Stato, pienamente operative con appena tre ore di sciopero.
Oggi nuove riforme sono all’esame del Parlamento, una per tute la contestata e dibattuta riforma Fornero. E i mercati hanno dimostrato con una certa chiarezza l’intenzione di non essere disposti a tollerare oltremisura dubbi ed esitazioni sul «pacchetto lavoro». Perché? Monti non convince più? Le riforme o sono per decreto o non passano? Piano. In una fase in cui la fresca profezia di Peter Oppenheimer di Goldman Sachs sul maxi rialzo dei listini europei è già accantonata e si cominciano a fare i conti sulla prossima tornata elettorale — entro fine maggio, oltre alle nostre amministrative, sono attesi i due turni per le presidenziali francesi, un voto in Grecia e il referendum irlandese sull’Europa — l’accumulo di scorte di prudenza sembra a molti sull’azionario la cosa migliore. E però non è tutto. Il premio di rischio sui nostri titoli di Stato torna a crescere con lo spread a 340 punti base (e la distanza sull’equivalente Bonos-Bund resta sostanzialmente identica da una seduta all’altra) dopo due aste del Tesoro che hanno riscosso la fiducia degli investitori pur mostrando tutta la resistenza dei rendimenti. E l’asta Bot di mercoledì non ha spuntato tassi sotto l’1%, mentre ieri i Btp quinquennali, pur ottimamente accolti, hanno messo a segno rendimenti in calo di appena un centesimo (26 sul decennale). La strategia riflessiva di listini e investitori preoccupa chiaramente chi in Europa ha dovuto usare il bazooka per far tornare la fiducia, ma una volta sparati due formidabili colpi ora deve tener conto dello sfilacciamento complessivo della situazione. I mille miliardi con i quali Mario Draghi ha riaperto i mercati tra fine dicembre e fine febbraio non sono un assegno da spendere all’infinito. E se non fosse che l’Eurotower continua a reggere grazie al pragmatismo del suo presidente (per stare alle parole che Monti ha usato ieri al Nikkei) anche ai sussulti di quanti temono per l’eventuale violazione della stabilità monetaria tedesca (sempre Monti) verrebbe da dire che ora la Banca centrale stia per entrare in una fase più riflessiva. Il suo presidente è tornato a rassicurare nei giorni scorsi Berlino e la Bundesbank sulle pressioni inflazionistiche, poi ha ripetuto ancora una volta l’invito ai governi di Madrid e Roma ad approfittare delle «finestre di opportunità » per consolidare i bilanci, rilanciare l’occupazione e migliorare la competitività dei rispettivi sistemi industriali. Il problema, per Roma, è che quella finestra è socchiusa: per far decollare la riforma del mercato del lavoro con un disegno di legge c’è davanti un percorso parlamentare accidentato. Davanti a una maggioranza che sostiene il governo impegnata in difficili equilibrismi, ha scritto Francesco Verderami, Monti potrebbe anche pensare a un colpo di fiducia. Nel senso della blindatura della riforma in Parlamento.
In questo caso la scelta di non tirare a campare sarebbe spiegata più ancora che dalla necessità di superare la fase di stallo di partiti che, come i mercati, avvertono l’avvicinarsi delle scadenze elettorali, dalle contromisure stesse di listini e investitori che in poche ore possono ricominciare a vendere Italia a piene mani. Se quello di ieri è stato un avviso, era ben calibrato.
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