«Il problema principale? La gestione del credito»

by Editore | 13 Marzo 2012 12:52

Loading

I dati – presentati dall’economista Angelo Megaro e dal vice-presidente Roberto Maglione, stesso ruolo anche in Finmeccanica – sono relativi al quarto trimestre del 2011 e registrano una caduta del 3,2% rispetto al trimestre precedente. Si interrompe così, bruscamente, la «ripresina» che aveva caratterizzato il settore industriale più importante del paese. Al 31 dicembre, infatti, il 2011 segna comunque una crescita del 2,1%, ma sono andate perdute tutte le speranze di aver imboccato la strada buona. L’estate, infatti, era stata insolitamente positiva, complice il traino delle commesse dalla Germania (di cui buona parte della metalmeccanica italiana fa da «contoterzista»).
Ma non tutte le cadute sono uguali. Andando nei dettagli, infatti, si scopre che l’«inversione» è causata dalla «stagnazione della domanda interna», mentre le esportazioni hanno tenuto un po’ meglio, pur rallentando vistosamente il ritmo. E qui l’arretramento della Fiat ha trainato al ribasso anche il comparto metallurgia (-6%), stressato anche dalla brusca frenata dell’edilizia (tondini, carpenteria, ecc). 
Nonostante questo, la bilancia commerciale annuale del settore risulta fortemente positiva, con un saldo attivo di oltre 38 miliardi e una quota – sul totale dell’interscambio nazionale – che sfiora il 50%. Merito di una buona ripresa verso i mercati russo e statunitense, ma anche del ruolo sempre più importante della Cina come sbocco produttivo. Anche se la Ue rappresenta ancora il 54,3% delle esportazioni heavy metal.
Le previsioni per l’immediato futurosono molto negative e la speranza è che il peggioramento non diventi ancora più consistente. In questo momento, infatti, i livelli produttivi della metalmeccanica italiana segnano una perdita del 25,5% rispetto a gennaio 2008, prima che esplodesse la crisi in tutta la sua forza. Una seconda e prolungata ondata recessiva, dunque, metterebbe probabilmente in ginocchio un settore già  provato.
In cui l’occupazione, fin qui, è stata parzialmente salvaguardata soltanto dagli ammortizzatori sociali esistenti («in questo momento è meglio tenersi gli strumenti che abbiamo», spiega il direttore generale Roberto Santarelli), ma non potrà  continuare così a lungo (la cig, senza ripresa, prepara la «mobilità », ovvero licenziamenti). E proprio la cassa integrazione vola di nuovo: le ore richieste sono state equivalenti a 190.000 posti di lavoro, il 10% del settore. Soprattutto, è esplosa quella in deroga (per i settori che non hanno l’«ordinaria»): +22,5%.
In questo contesto, il problema più urgente delle imprese è «la gestione del credito», non l’art. 18 («comunque non deve essere un tabù», ripetono tutti all’unisono con Confindustria); «occorre far passare i benefici dei presti Bce nel rapporto tra banche e imprese». Perché «di solo rigore nei conti si muore». È stato giursto farlo, sintetizza Santarelli, «ma è ora di mettere in campo misure per la crescita, che diano linfa alla domanda esterna». Perché, par di capire, anche di sole esportazioni «si muore».
Federmeccanica si aspetta molto dal fatto che lo stato paghi finalmente i fornitori (100 miliardi di «scaduto», secondo il ministro Passera). Ma anche da politiche infrastrutturali («rilancio del sistema di mobilità  nazionale, le smart cities, ecc) che richiedono, inutile girarci intorno, investimenti pubblici.
Ma a che serve, allora, la riforma del mercato del lavoro e lo «scalpo» dell’art. 18? Dalle risposte si capisce che – al massimo – si ridurrebbe lo «sfrito», quelle resistenze localizzate a una «flessibilità  degli orari» totalmente in mano alle aziende, riducendo lo spread tra «ore che è possibile lavorare e ore effettivamente lavorate»; insomma, meno malattie, permessi sindacali, ecc, più turni e straordinari. Un vantaggio soprattutto «politico», poco quantificabile (nessuno lo fa, non a caso) in termini di «crescita della produttività ». Che alla fine, onestamente, Maglione riconosce dipendere dagli investimenti «di processo e di prodotto», non (molto) dallo strizzamento dei lavoratori. Ma sono le imprese – anche a causa delle banche – a non investire, no?

Post Views: 178

Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2012/03/lil-problema-principale-la-gestione-del-creditor/