Licenziamenti economici i giudici dovranno stabilire se mascherano discriminazioni

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La parola d’ordine è quel «non permetteremo abusi» che Mario Monti ha pronunciato nei giorni scorsi di fronte alle proteste dei sindacati. Come evitare abusi in una materia sensibile come quella del licenziamento individuale per motivi economici? Da due giorni gli esperti del ministero di Giustizia stanno studiando insieme a quelli del Lavoro un’ipotesi secondo cui dovranno essere i giudici a stabilire, quando si trovano di fronte a un licenziamento per motivi economici, se esso nasconda motivi discriminatori. Nel documento approvato dal governo, invece è il lavoratore che deve dimostrare la discriminazione mentre il giudice non è tenuto a esprimersi su questo punto. In alternativa a questa misura (che andrebbe incontro, almeno nelle intenzioni, alle richieste del Pd) il governo potrebbe applicare il nuovo articolo 18 solo ai nuovi contratti. Il governo potrebbe intervenire anche sulla cosiddetta flessibilità  in entrata, cioè sulle modifiche introdotte per limitare il precariato dei giovani. Le novità  della riforma hanno fatto storcere il naso nel centrodestra che vorrebbe lasciare più libertà  alle imprese. In sostanza, la possibilità  di limitare il licenziamento si paga con una minore precarietà  in ingresso. Anche per queste ragioni il lavoro degli esperti del ministero della Giustizia è particolarmente delicato. Quando sarà  concluso? «È una questione di giorni» dicono al ministero del lavoro. Per consentire a Monti, di ritorno dall’Asia, di avere un testo sul tavolo.

Articolo 18 / Il magistrato potrebbe ripristinare il reintegro    


La questione più delicata è quella dei licenziamenti individuali. La riforma prevede diversi tipi di ingiusto licenziamento ma non dice chi stabilisce se un licenziamento ingiusto è discriminatorio o se invece era motivato solo da un’errata valutazione delle condizioni economiche dell’azienda. È evidente che questa scelta non può in ogni caso spettare all’impresa: «nessuno ammetterà  mai di aver deciso un licenziamento per discriminare un lavoratore» riconosceva due sere fa il ministro Fornero di fronte alla platea dell’Unione Industriale di Torino. Chi decide dunque? Probabilmente toccherà  a un giudice, ed è anche per questo che della questione sono stati investiti gli esperti del ministro Severino. Ma come si arriva dal giudice? Un’ipotesi è che ci si possa andare automaticamente in tutti i casi di licenziamento individuale, come accade in Germania. In questo caso si toglierebbe al licenziato l’onere della prova. E se il giudice dovesse riconoscere che c’è stata discriminazione, ovviamente scatterebbe anche l’obbligo di reintegro.

Salari / Il costo dell’1,4% si scarica sui lavoratori    


Per incentivare il lavoro a tempo indeterminato, il ministero prevede di tassare maggiormente le forme di occupazione precaria imponendo alle aziende che le utilizzano un’aliquota dell’1,4 per cento sulla retribuzione. In altre proposte di riforma questa norma era accompagnata da un tetto minimo salariale: i lavoratori non avrebbero potuto percepire meno di una certa cifra. Nel documento finale, invece, il tetto minimo non c’è. Il rischio è che alla fine a pagare siano solo i lavoratori precari e la riforma si traduca in una riduzione del loro salario. In pratica le aziende per pagare la tassa finirebbero per ridurre i salari caricando sulle spalle dei lavoratori i maggiori costi imposti dalla riforma. È evidente che senza un tetto minimo per i contratti precari o a tempo determinato, molti imprenditori finirebbero per praticare questa scorciatoia. Ma è altrettanto vero, fanno notare al ministero, che il tetto da solo non serve a evitare gli abusi. Si cercherà  dunque un sistema per tutelare comunque il salario dei precari.

Contratti / I paletti sugli atipici in versione più soft    


Nella logica della riforma, rendere più difficile il licenziamento individuale significa offrire alle aziende una contropartita sui contratti di ingresso. Aver abolito alcune possibilità  come l’associazione in partecipazione impedirà  alle imprese di ricorrere alle forme più convenienti di utilizzo della manodopera, o, se si preferisce, le forme di precariato che tutelano di meno i lavoratori. Meno precarietà  significa anche più costi. Da qui la protesta di una parte delle associazioni imprenditoriali e dei partiti del centrodestra. Ridurre o ammorbidire i paletti applicati dal documento del governo ai contratti atipici potrebbe essere considerata una contropartita all’intervento sui licenziamenti. In alternativa c’è la strada della divisione tra generazioni: con i giovani che hanno contratti di ingresso più tutelati ma non vengono protetti in uscita dalle tutele dell’articolo 18 e i lavoratori meno giovani che mantengono le attuali garanzie. Quel che è certo è che al momento le imprese considerano l’attuale “un buon punto di equilibrio”.

Articolo 18 / Il magistrato potrebbe ripristinare il reintegro    


La questione più delicata è quella dei licenziamenti individuali. La riforma prevede diversi tipi di ingiusto licenziamento ma non dice chi stabilisce se un licenziamento ingiusto è discriminatorio o se invece era motivato solo da un’errata valutazione delle condizioni economiche dell’azienda. È evidente che questa scelta non può in ogni caso spettare all’impresa: «nessuno ammetterà  mai di aver deciso un licenziamento per discriminare un lavoratore» riconosceva due sere fa il ministro Fornero di fronte alla platea dell’Unione Industriale di Torino. Chi decide dunque? Probabilmente toccherà  a un giudice, ed è anche per questo che della questione sono stati investiti gli esperti del ministro Severino. Ma come si arriva dal giudice? Un’ipotesi è che ci si possa andare automaticamente in tutti i casi di licenziamento individuale, come accade in Germania. In questo caso si toglierebbe al licenziato l’onere della prova. E se il giudice dovesse riconoscere che c’è stata discriminazione, ovviamente scatterebbe anche l’obbligo di reintegro.


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