L’esito ambiguo di una trattativa con troppi paletti
Ma di fatto, vede per il momento vincenti quanti, fra le parti sociali ma anche nel governo dei tecnici, preferiscono affidare al Parlamento la soluzione di una sfida difficile. L’appello col quale martedì il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, invitava a far prevalere l’interesse generale, esprimeva dunque un timore e un tentativo reali: il timore che non tutti fossero pronti a spendersi fino allo spasimo per mediare, concedere e dire «sì»; e il tentativo di spezzare una logica che portava diritto al risultato di ieri.
Gli ultimi margini si sono consumati ieri mattina, nell’ennesimo incontro informale fra il premier Mario Monti e prima i segretari di Cgil, Cisl e Uil, poi i vertici di Confindustria. Lì si è capito che l’ostacolo dell’articolo 18, per come il ministro del Welfare, Elsa Fornero l’aveva riformulato, era insormontabile per la Cgil; ma anche che il governo non era disposto a fare concessioni al sindacato di Susanna Camusso: quel punto era troppo importante.
Anche e soprattutto simbolicamente. Il mancato consenso della Cgil «ovviamente mi dispiace e mi preoccupa», ha detto Monti. Con un’aggiunta significativa: «Non so se sarebbe stato possibile, avendo il consenso della Cgil, avere quello delle altre parti. Non lo credo». Su questo sfondo, è difficile dire se per Palazzo Chigi quanto è avvenuto sia vissuto come una sconfitta o qualcosa di quasi inevitabile. Idem per sindacato e imprese.
Il capo del governo che affida a un verbale «le posizioni di accordo e disaccordo», additando il Parlamento come «interlocutore principale», ottiene due risultati. Il primo è di procedere con la riforma che si è prefisso e che le istituzioni europee gli chiedono. Il secondo è di essere libero di proporla agli alleati, con le parti sociali altrettanto libere di criticarla perché non l’hanno sottoscritta: almeno finora. Eppure, dopo gli appelli di Napolitano, reiterati ieri dallo stesso Monti, a lasciare da parte interessi di parte, viene il sospetto di un’occasione mancata.
Il ministro Fornero conferma che il testo non si cambierà più dopo il 23 marzo. E a qualcuno viene il dubbio che se la trattativa fosse stata impostata in modo meno ultimativo, forse le «rigidità contrapposte», che tutti dicevano di voler combattere, non avrebbero prevalso. Ma bisognava evitare paralisi decisionale e veti, anche se un dubbio fastidioso continua a insinuarsi dal giorno del lunghissimo vertice notturno fra Monti e i segretari di Pdl, Pd e Udc: quello di un gioco delle parti il cui esito non sarà stato voluto né cercato, ma certo messo in preventivo fin dall’inizio.
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