L’Era della Pay Libreria

by Editore | 10 Marzo 2012 14:49

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RICCARDO CAVALLERO – da due anni direttore generale della Mondadori trade e da quindici nel mondo dei libri – una cosa così non l’aveva mai vista. Ci incontriamo nella sede romana della casa editrice. Di fronte a me siede un uomo con una provata esperienza internazionale: ha lavorato a lungo negli Stati Uniti e in Spagna. E mentre sorseggia un bicchiere d’acqua minerale mi dice, quasi sussurrando: “Niente sarà  più come prima”. Non so se preoccuparmi o leggere in quella frase l’enfasi che si mette ogni qualvolta si ha l’impressione che il mondo stia cambiando troppo in fretta.
Che cosa dottor Cavallero non sarà  più come prima?
«Stiamo ai fatti. L’editoria in questo momento somma due fenomeni: il primo, coinvolge tutti i settori dell’economia, è la più grande recessione degli ultimi due secoli, tanto imponente e ramificata da indurmi a pensare che la crisi del 1929 fosse meno devastante di quella che in prospettiva rischiamo di vivere; l’altro riguarda la rivoluzione digitale che sta cambiando letteralmente tutto. Chi oggi non riuscirà  a pensare in modo nuovo e diverso metterà  seriamente a repentaglio le proprie aziende».
Pensare in modo nuovo significa non solo razionalizzare i costi, ma anche gestire i processi innovativi. 
«È l’Abc del capitalismo».
Già , ma oggi non è più così semplice: non c’è uno che innova e gli altri dietro. Oggi l’innovazione è l’algoritmo che sta cambiando il nostro modo di agire, di pensare, di stare assieme.
«L’innovazione non è mai stata così sconvolgente. Gli americani usano il termine “disruptive”. Da Gutenberg fino a ieri la gestione del mercato dei libri risiedeva nel controllo totale dell’editore su tutta i passaggi fondamentali: dal processo produttivo a quello distributivo. Perfino il processo creativo era influenzato, almeno indirettamente, dalla distribuzione. E questo si vede chiaramente con il cinema: senza la distribuzione puoi fare un film bellissimo, ma se non arriva nelle sale hai chiuso. Oggi non è più così. L’accelerazione tecnologica è talmente violenta e rapida che ci lascia pochissimo tempo a disposizione. Nessuno ha la più pallida idea di quello che accadrà  tra pochi anni. La sensazione è che parlare solo di libri sarà  abbastanza riduttivo».
E di cosa parleremo?
«Di un oggetto totalmente nuovo che cambierà  il nostro modo di vivere il libro. Cambierà  il modo di veicolare i contenuti, si modificherà  il sistema distributivo e dei prezzi, cambierà  perfino il modo di creare da parte degli scrittori».
E tutto questo è il portato dell’e-book?
«Bisogna intendersi. Sarebbe francamente riduttivo immaginare che la grande rivoluzione digitale si riduca a infilare 400 libri in un e-reader. Nella fase attuale l’evoluzione tecnologica è nel “cloud”, nella nuvola, ossia nel fatto di aver smaterializzato o meglio alleggerito tutti i device».
Traduca per i meno esperti.
«Voglio dire che anziché sul computer o sul tablet, i software vengono direttamente installati sulla rete, in una sorta di “nuvola” appunto, dalla quale l’utente, a certe condizioni, potrà  prendere ciò di cui ha bisogno, come fosse un immenso archivio digitale».
A che punto è la Mondadori con l’e-book?
«Considerando che il mercato è ancora piccolo, siamo passati da un venduto di 13 mila e-book nel 2010 a 270 mila nello scorso anno. Solo nel gennaio di quest’anno siamo a 70 mila unità . Per noi è un risultato superiore alle aspettative. Anche perché il mercato complessivo è poco al di sopra delle 700 mila unità . Parlo di libri venduti in diritti».
Che genere di libri sono?
«Un’indicazione è venuta dagli Stati Uniti dove si pensava che il digitale avrebbe favorito la saggistica, in quanto genere più comparabile con le nuove tecnologie. Poi in realtà  si è visto che ad affermarsi sono stati i romanzi. I titoli di fiction hanno picchi di smercio oltre il 50 per cento in digitale. Fenomeno di punta Stieg Larsson che ha venduto con la Knopf una media di tre copie in digitale e solo una in cartaceo».
Proprio il cartaceo costituisce ancora la parte preponderante dell’editoria. Voi della Mondadori siete al primo posto con quasi il 28 per cento del mercato. Ma secondo i rilevamenti della Nielsen dal 2007 al 2011 si è passati da tre milioni di copie vendute tra i primi dieci bestseller a un milione e seicentomila dello scorso anno. Come commenta?
«In questo arco di tempo è scomparso il mega-seller, che poi è un libro comprato come fenomeno di costume e generalmente non letto. La tendenza è che più crescerà  il digitale e meno spazio ci sarà  per il mega-seller».
Perché?
«La presenza del mega-seller dimostra la forza dell’editore, la sua capacità  di controllo del mercato. Con il digitale è il lettore che assume il comando, che parla all’interno della comunità , che sceglie cosa, dove e a che prezzo comprare il libro».
È il panico per voi editori?
«Diciamo che ci siamo molto vicini. L’editore deve capire come comunicare con il lettore. E non è facile in un mercato che tenderà  sempre di più a frammentare lo spettacolo dei libri».
I dati americani parlano di una contrazione in casa loro tra il 10 e l’11 per cento. Da noi com’è la situazione?
«Il mercato tradizionale, secondo i dati Nielsen, ha avuto un calo su base annua dell’1,4 per cento. Ma se lo andiamo a restringere sul periodo da settembre a dicembre registriamo una picchiata, con punte dell’8 per cento. Quanto al mese di gennaio, che è il dato più recente, è partito con una flessione del 10 per cento».
Come spiega questa forte contrazione?
«Si sommano vari fattori. Primo, c’è una fase recessiva e ognuno di noi ha rivisto le proprie modalità  di spesa. L’aumento dell’Iva. E poi l’attuazione della legge sul libro, entrata in vigore a settembre, che limita il numero di promozioni e mette un freno a gli sconti. Ma qui gli effetti negativi si faranno sentire un po’ più avanti». 
Spesso gli editori pubblicizzano cifre molto superiori e destituite di qualunque realtà . 
«Posto che le classifiche alle quali lei fa riferimento non tengono conto della grande distribuzione, effettivamente c’è un malcostume, o meglio una enfatizzazione dei dati. Con l’espansione del digitale tutto questo non si potrà  più fare. Bisogna capire che il consumatore va rispettato. Il lettore se ne frega di quello che dici, è lui che decide. Il cambio culturale è enorme. E non puoi più menarlo per il naso».
Un altro effetto del digitale sarà  il ridimensionamento del business?
«Non affrontiamo una rivoluzione pensando che tutto resterà  come prima. L’editore deve oggi trovare risorse da investire nelle nuove tecnologie che però porteranno ricavi più bassi. Questo è un fatto che avrà  qualche conseguenza anche per gli scrittori».
In che senso?
«Se il piano dei ricavi si ridimensionerà  è evidente che anche gli anticipi caleranno. Sarà  difficile, salvo qualche eccezione, che gli scrittori potranno vivere solo dei loro romanzi. Lo scenario sarà  duro per tutti. Vedremo grandi gruppi tradizionali che rischieranno di scomparire».
A quali pensa?
«Penso alle grandi aziende della creatività . Se rimangono come sono adesso, con le cose che si fanno oggi, nel giro di qualche anno sono destinate a saltare. Quando i costi di una struttura cominciano a pesare oltre il 30 per cento si è in allarme rosso. Sopra il 35 per cento si calano le scialuppe in acqua. Prima che succeda questo devi ridiscutere il tuo modello di business».
Quando un manager parla di ridiscutere quasi sempre pensa a un poderoso taglio dei costi.
«Non è solo una questione di costi. E non è neppure tanto il numero di persone che lavorano all’interno, quanto cosa fargli fare e come consegnare e distribuire i contenuti che si gestiscono e che andranno oltre il libro». 
Verso dove?
«Verso il modello della pay tv. Dei contenuti che metteremo a disposizione dei lettori. Dandoli in prestito per esempio».
Qualche mese fa si notava che i libri Mondadori facevano fatica a entrare nella top ten dei più venduti. 
«Il dato non è vero. Secondo le rilevazioni della Nielsen nei primi cento libri più venduti l’anno scorso 43 sono Mondadori, 13 della Rizzoli, altri 13 di Gems. Se poi andassimo a guardare il periodo tra la fine di ottobre e oggi si vedrebbe che siamo stati presenti nelle classifiche dei primi dieci con sei libri. Può accadere che per una serie di ritardi o di slittamenti sulle uscite previste si sia registrata qualche defaillance». 
A dire il vero si constatava l’assenza del grande best-seller: quel pieno fatto, in un passato recente, con Saviano e Giordano.
«Ma qui siamo di nuovo al problema del mega-seller che non è mai programmabile. E sarà  un fenomeno sempre più raro. Non è questa la mia preoccupazione. Che semmai è quella di mantenere gli utili e una certa redditività . Nel caso di Mondadori siamo sopra gli standard europei. Ed è ovvio che non abbiamo dimenticato il cartaceo. L’anno scorso siamo entrati nei paperback con la collana dei “NumeriPrimi” che ha prodotto circa due milioni di copie. Abbiamo un catalogo straordinario che è una risorsa. Ci può stare se qualcuno parla male di noi. Siamo grossi e per questo risultiamo anche antipatici».

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