Le riserve Usa sul mercato contro il caro-petrolio

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new york – La copertina di Time invoca “La verità  sul petrolio”. Barack Obama offre la sua, di verità : risponde con un attacco durissimo ai petrolieri-sanguisughe. Per il caro-benzina il presidente mette sotto accusa «i profitti delle compagnie che salgono ogni volta che si fa il pieno al distributore». Denuncia anche «il doppio onere che i petrolieri ci impongono, col rincaro dei prezzi e anche i sussidi pubblici pagati dal contribuente». 
E’ polemico anche col Congresso, dove la destra «boicotta gli investimenti in energie rinnovabili ma si batte per preservare i regali fiscali ai petrolieri». La battaglia contro l’inflazione energetica si sviluppa su più fronti. Si stringono i tempi per il ricorso alle riserve strategiche dei paesi industrializzati. Obama ha aggirato le resistenze della Germania mettendo assieme una coalizione che include Francia, Inghilterra e Giappone: quattro delle maggiori potenze industriali si preparano a gettare sul mercato una parte degli stock governativi. 
Il premier francese Franà§ois Fillon conferma che «l’intervento concertato sui mercati è vicino», precisa però che non bisogna farsi illusioni eccessive: «E’ una misura mirata a fronteggiare la crisi in Iran, ma non farà  miracoli. Avrà  un effetto di calmiere sui prezzi solo per un tempo limitato». Un’operazione analoga fu fatta nel giugno 2011, quando Usa e alleati misero sul mercato 60 milioni di barili provenienti dalle riserve strategiche, per compensare l’ammanco di petrolio dalla Libia. Ieri le quotazioni del greggio sono scese (102,78 dollari il prezzo dell’americano Wti rispetto all’apertura di 105 dollari), in reazione a queste notizie. Ma il trend al rialzo è sospinto, paradossalmente, da un successo di Obama: le sue sanzioni contro Teheran si stanno rivelando efficaci. L’export iraniano a marzo è caduto del 14%. E continuerà  a scendere, se passa l’ulteriore giro di vite voluto da Usa e Ue, che impedirebbe di assicurare le forniture di petrolio dirette dall’Iran anche verso paesi terzi in Asia e in Africa. A sostenere l’operazione-calmiere di Obama però è intervenuto ieri il ministro del petrolio dell’Arabia saudita, Ali Naimi. «L’Arabia saudita vuole prezzi più bassi, a livelli tali da non compromettere la ripresa economica mondiale. I prezzi attuali stanno penalizzando la crescita in Europa». I sauditi si dicono disponibili ad aumentare la loro produzione del 25% in caso di penurie e shock ulteriori.
Ma sulla crisi energetica un altro fronte è stato aperto dalle potenze emergenti, con una pesante polemica contro Stati Uniti e Unione europea. Sotto tiro in particolare le politiche monetarie espansive di Mario Draghi (Bce) e Ben Bernanke (Fed). L’attacco è stato sferrato dal vertice dei Brics – Brasile Russia India Cina e Sudafrica – riuniti a New Delhi. Nel comunicato finale si legge che «l’eccessiva liquidità  monetaria creata da politiche aggressive delle banche centrali esonda nelle economie emergenti generando una eccessiva volatilità  nei flussi di capitali e nei prezzi delle materie prime». Il linguaggio è tecnico ma il significato è chiaro: l’inflazione petrolifera è dovuta anche all’eccesso di moneta messa in circolazione dalla Fed e dalla Bce. Ha rincarato la dose la presidente brasiliana, Dilma Roussef, dal summit di Delhi: «Di questa crisi sono responsabili i paesi sviluppati. Non sarà  superata attraverso l’austerità  e i tagli o l’impoverimento dei lavoratori, tantomeno con delle politiche monetarie che equivalgono a uno tsunami di moneta, hanno provocato una guerra valutaria e forme perverse di protezionismo». Parole insolitamente dure, che vengono da un gruppo di potenze emergenti che rappresentano un quarto del Pil mondiale e il 45% della popolazione del pianeta. Sono nazioni il cui peso sui consumi energetici non fa che crescere. L’ultima conferma viene da un sorpasso clamoroso: la compagnia petrolifera cinese Petrochina ha superato la produzione dell’americana Exxon, per decenni la leader mondiale. La Exxon ha subito un doppio declassamento perché anche la russa Rosneft l’ha superata, relegandola in terza posizione. Petrochina è ormai numero uno mondiale con 2,4 milioni di barili al giorno, grazie ad un’aggressiva espansione all’estero e l’acquisizione di nuovi diritti di estrazione in Canada, Iraq e Qatar. I Brics hanno anche contestato la nomina di un americano al vertice della Banca mondiale, hanno chiesto di pesare di più al Fmi, e hanno avviato il piano di creazione di un “Fondo monetario asiatico”.


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