L’opa ostile sul professore
Silvio Berlusconi ha avvelenato i pozzi per un quasi ventennio, costruendo un «bipolarismo di guerra» fondato sull’aggressione e la delegittimazione dell’avversario. E adesso, come per miracolo, si concede una folgorazione tardiva: la Grosse Koalition all’italiana, o all’amatriciana. Pdl, Pd e Terzo Polo, secondo l’ex premier, dovrebbero accordarsi per candidare Mario Monti a Palazzo Chigi anche per la prossima legislatura. Sulla carta, una proposta tutt’altro che peregrina. L’ipotesi di un «Monti bis» riflette un sentimento diffuso. Prima di tutto nella testa vuota di una politica che non ha più molto da offrire agli elettori, e che per questo si affida al governo tecnico come ad uno scudo dietro al quale ripararsi, in attesa di ricostruire una piattaforma programmatica accettabile e autosufficiente. E poi soprattutto nella pancia disillusa di un Paese che invece ha molto da chiedere, e che per questo guarda al governo tecnico come a un punto di non ritorno, una riserva imperdibile di competenza e di credibilità alla quale attingere finchè si può. Letta in questa chiave, la mossa di Berlusconi è allo stesso tempo astuta e disperata.
L’astuzia consiste nell’ennesima operazione di mimesi politica e di trasformismo mediatico. Il Cavaliere vuol far credere agli italiani che il governo montiano è la prosecuzione naturale, sia pure con altri mezzi, del governo berlusconiano. «Lo sosteniamo, perché sta portando avanti il nostro programma». Questo ripete l’uomo di Arcore, per spiegare il suo endorsement nei confronti del Professore. Per questo può restare a Palazzo Chigi altri cinque anni. «È uno di noi»: questo è il messaggio implicito che la propaganda berlusconiana tenta di trasmettere all’opinione pubblica.
Ma a dispetto della banale vulgata arcoriana, a muovere il Cavaliere non è un improbabile «spirito costituente». È invece la solita intenzione di confondere le acque e nascondere i problemi. Lo dicono i fatti. In questi lunghi anni di avventura cesarista e populista, Berlusconi non ha mai neanche provato a fare una seria riforma delle pensioni (che la Lega gli ha sempre bloccato) né un pacchetto serio di liberalizzazioni (che la ex An gli ha sempre avversato). Non ha mai neanche provato a far pagare le tasse agli evasori, né a far pagare l’Ici alla Chiesa. Dunque, non si vede proprio in cosa consista la presunta «continuità » di azione e di ideazione tra il governo forzaleghista di ieri e quello «di impegno nazionale» di oggi. Il «decisionismo» moderato di Monti non è in alcun modo assimilabile al radicalismo inconcludente di Berlusconi.
Ma al Cavaliere, oggi, conviene azzardare l’Opa sul Professore per due ragioni. La prima ragione riguarda il centrodestra. Tutti i sondaggi lo dimostrano: senza la Persona che l’ha inventato e costruito a sua immagine e somiglianza, il partito personale si dissolve nel Paese, scivolando verso un drammatico 20% di consensi. Se le condizioni non mutano, il Pdl è condannato a una sconfitta sicura, sia alle amministrative di primavera sia alle politiche dell’anno prossimo. Non solo: senza il collante del leader onnipotente e carismatico, il partito si disgrega al suo interno, confermando il fallimento della Rivoluzione del Predellino e la natura «mercenaria» di una destra tenuta assieme non dagli ideali, ma solo dagli interessi. Con l’annessione unilaterale di Monti, il Cavaliere da un lato annega l’inevitabile disfatta elettorale dentro uno schema di Grande Coalizione dove non vince e non perde nessuno, e dall’altro lato rappattuma i cocci di un partito altrimenti destinato a una serie di scissioni a catena. La seconda ragione riguarda il centrosinistra. Con questo «audace colpo», Berlusconi cerca di rimandare la palla avvelenata nel campo di un Pd già diviso, costretto a dire no, per il 2013, ad un patto per un «governo di salute pubblica» di cui è oggi il principale contraente e garante.
Qui, dunque, sta la disperazione della «svolta» berlusconiana. Una scelta imposta dall’istinto di sopravvivenza, e non certo dal «senso di responsabilità ». Fa bene Bersani a sottrarsi immediatamente all’«alleanza innaturale». Farebbe bene Monti a sottrarsi gradualmente all’«abbraccio mortale». Il Professore deciderà tra un anno se e come «capitalizzare» la sua esperienza politico-istituzionale. Ma una cosa è certa: il «montismo», per come lo stiamo imparando a conoscere, non è e non sarà mai riducibile a una «variante mite» del berlusconismo.
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