by Editore | 24 Marzo 2012 15:26
Forse non sapevamo già che la lettura di un romanzo suscita dentro di noi reazioni che vanno al di là di una piatta e passiva acquisizione di parole una di seguito all’altra? Lo sapevamo, ma – come si suol dire – non lo potevamo dimostrare.
E invece, eccole, le prove. Già nel 2006 dei ricercatori spagnoli avevano effettuato un esperimento che rivelava come, leggendo termini legati agli odori, come caffè o profumo, nel nostro cervello la corteccia olfattiva primaria si «accende», cosa che non accade di fronte a parole neutre, sedia o chiave per esempio. Il mese scorso però, nota Murphy Paul, un gruppo di ricerca della Emory University di Atlanta ha fatto un passo avanti: non soltanto i singoli vocaboli, ma anche le metafore hanno effetti simili: «Frasi come “Il cantante aveva una voce di velluto” o “Quell’uomo aveva mani d’acciaio” sollecitano la corteccia sensoriale, cosa che tuttavia non fanno frasi apparentemente simili, come “Il cantante aveva una bella voce” o “Quell’uomo aveva mani forti”». Ma le scoperte non valgono solo per la sfera dei sensi: Véronique Boulenger, del Laboratoire Dynamique du Langage di Lione, ha condotto esperimenti analoghi con frasi connesse al movimento, del tipo «John afferrò l’oggetto» o «Pablo diede un calcio alla palla» – anche qui la corteccia motoria cerebrale si attiva e «c’è di più, questa attività si concentra in una certa zona se il movimento descritto riguarda le braccia e in un’altra se invece si parla delle gambe».
Insomma, sembra che «il cervello non faccia grande distinzione tra leggere un testo intorno a una determinata esperienza e affrontare quella stessa esperienza nella vita vera». Tanto che Keith Oatley, dell’università di Toronto, ha ipotizzato che per il nostro cervello la lettura rappresenti una sorta di simulazione della realtà , un po’ come succede con le simulazioni al computer: e, aggiunge Oatley, «proprio come le simulazioni al computer ci aiutano ad affrontare problemi complessi come la guida di un aeroplano o le previsioni del tempo, così i romanzi e le storie si rivelano strumenti preziosi per affrontare le complessità della vita sociale». Tutto vero, probabilmente – anzi di sicuro. Ma non è un po’ triste vedere in Anna Karenina o nella Certosa di Parma soltanto l’equivalente narrativo di un manuale di self help?
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